di Luigi Compagnoni
La partecipazione dei ceccanesi alla Resistenza non si sviluppò soltanto in Ciociaria, ma ne registrò la presenza attiva in altri contesti territoriali in Italia e all’estero: Albania, Isole Ionie della Grecia e nei lager per internati militari dislocati in Germania, Polonia, Austria e Cecoslovacchia. Oggi, ad 80 anni dalla fine della guerra, è stato possibile finalmente ricostruire un quadro esatto degli uomini e delle donne di Ceccano che scelsero di combattere e contrastare l’oppressore non solo nel proprio territorio, ma anche nel resto d’Italia e nei paesi europei che soggiacevano alla brutale dittatura nazista, grazie ad una capillare azione di ricerca, con il fondamentale supporto degli archivi storici resi accessibili on-line al pubblico.
Sul movimento partigiano che si sviluppò a Ceccano e sui Monti Lepini, soprattutto sul versante carpinetano, molto si è scritto, anche se con ritardo, se si pensa che la prima celebrazione del 25 aprile avvenne a Ceccano “solo” nel 1969, cioè 25 anni dopo la fine della guerra, con l’irrimediabile perdita di tante testimonianze dirette dei protagonisti di quelle vicende, che soltanto grazie alle ricostruzioni storiche dei ricercatori locali ha impedito di perderne totalmente le tracce nella memoria locale. Il primo libro che descrive in maniera documentata le vicende belliche e quindi anche il movimento partigiano che riguardarono Ceccano, curato dal Prof. Angelino Loffredi, è del 1990!
Ancora più complessa si è rilevata la ricostruzione storica della partecipazione dei Ceccanesi con ruoli attivi e di fondamentale importanza nella Resistenza romana, di cui soltanto da pochissimi anni si sta rivalutando il ruolo svolto.
Tornando ai presupposti che hanno consentito di ricostruire storie e vicende dei Partigiani e Patrioti ceccanesi che si schierarono contro gli oppressori dopo l’8 settembre del 1943, nei primi anni del dopoguerra con decreto ministeriale furono istituite delle commissioni regionali per il riconoscimento della qualifica di partigiano o di patriota di chi aveva partecipato alla Resistenza. Per Ceccano furono catalogate ben 126 schede, come è stato possibile verificare nell’Archivio di Stato, portale “Ricompart”, con i dati dei richiedenti, e su questa abbiamo avuto già un primo riscontro sull’effettiva consistenza numerica della partecipazione dei ceccanesi alla guerra di Liberazione in Ciociaria.
A Ceccano erano presenti due raggruppamenti partigiani, uno guidato dall’Avv. Giuseppe Ambrosi, l’altro da Romolo Battista, uomini dalla forte personalità in perenne contrasto per l’egemonia del movimento partigiano locale. Contrasto che proseguì anche nel dopoguerra, che non era riconducibile all’appartenenza politica ma dettata da contrasti personali. L’Avvocato Ambrosi fu l’estensore della relazione inviata subito dopo la fine del conflitto al Ministero della Guerra, così suddivisa con i relativi nominativi:
– elenco degli informatori e collaboratori
– elenco dei patrioti meritevoli di premi in denaro, ricompense e sovvenzioni
-aggiunta all’elenco nominativo dei patrioti meritevoli di premio in denaro, sovvenzioni e ricompense
-aggiunta all’elenco dei patrioti collaboratori
-elenco nominativo dei patrioti morti ed elenco nominativo dei patrioti feriti e mutilati
Parliamo di un totale di 187 ceccanesi attivi durante la Resistenza, secondo gli elenchi di Ambrosi. Gli elenchi però non menzionano i ceccanesi attivi nella Resistenza a Roma e nel resto d’Italia, né tantomeno i soldati internati nei lager nazisti o resistenti a Cefalonia o in Albania.

Basandosi invece sull’analisi delle schede del portale “Ricompart” i numeri sono diversi: i partigiani ceccanesi ai quali viene riconosciuta la qualifica di Partigiano combattente sono effettivamente 22, di cui 2 caduti, cui vanno aggiunti 8 Partigiani non originari di Ceccano che aderiscono alle formazioni locali e 13 Patrioti, numeri ben lontani dagli elenchi inseriti nella relazione dell’Avv. Ambrosi. Al di là del ridimensionamento della consistenza numerica operante a Ceccano, il valore dei ceccanesi nella Resistenza, dall’analisi delle schede, emerge ancora più forte e di valore. Basti pensare ad esempio che a Roma sono presenti in attività partigiane 16 ceccanesi appartenenti però tutti a partiti politici: cinque risultano iscritti al Partito Comunista, tre al Partito Socialista, due al Partito d’Azione, al Fronte Militare Clandestino e a Bandiera Rossa ed infine in due formazioni operanti nel resto della regione, 1 a Poggio Mirteto e 1 partigiano nella brigata Ceprano. La resistenza a Roma dei ceccanesi trova i suoi due martiri nelle figure di Luigi Mastrogiacomo e Francesco Bruni, massacrati dai tedeschi in due distinte azioni di rappresaglia.

Luigi Mastrogiacomo, dopo l’armistizio dell’8 settembre, diventa un membro attivo nella resistenza romana collaborando con il nucleo di intelligence guidato dal tenente Maurizio Giglio (Medaglia d’Oro al valore militare) denominato servizio informazioni “Radio Vittoria”. La trasmittente è custodita da Luigi sul galleggiante del Ministero delle Finanze ormeggiato sul Tevere ed è utilizzata dal tenente Giglio per inviare notizie di carattere militare al comando alleato bloccato sul fronte di Anzio e Nettuno.

Francesco Bruni, appartenente al Partito d’Azione, figlio di Regina, anch’essa attiva nella resistenza come il resto della famiglia, tutti originari di Ceccano, viene barbaramente ucciso dalle S.S. in un agguato in via Nomentana, e la sua camicia traforata dai proiettili è esposta come tragica testimonianza nel Museo della Liberazione a Roma, nello stesso edificio in via Tasso, teatro delle sevizie e torture alle quali erano sottoposti gli uomini della Resistenza romana che cadevano nelle mani degli aguzzini fascisti.

Poco nota è anche la presenza dei ceccanesi nella guerra di liberazione in Piemonte. All’indomani dell’8 settembre tanti soldati cercarono con tutti i mezzi di tornare a casa, ma una parte consistente di essi preferì combattere l’invasore unendosi alle brigate partigiane operanti nelle Langhe e nelle valli piemontesi, in una guerra senza esclusione di colpi così come raccontata da Beppe Fenoglio in uno dei suoi libri più famosi “Il partigiano Johnny”. Orlando Nicolia (classe 1921) e Angelo Ferrante (1920) nella Brigata Grinet, dove Angelo raggiunse il grado di commissario distrettuale, Gino Colafrancesco (1924), nome di battaglia ‘Berto’, nella Brigata Garibaldi, Augusto D’Annibale (1921), nome di battaglia ‘Tigre’, arruolato nella brigata Sap Carando, Vincenzo Cicciarelli (1921) nella 104^ Brigata Verde ed infine con la qualifica di patriota, Giovanni Cerroni (1916), nella 3^ Divisione Alpi.
Mentre del tutto ignorata, fino ad oggi, la partecipazione del soldato ceccanese Giulio Pirri (classe 1911) nell’insurrezione della popolazione di Lanciano, in Abruzzo, che a partire dal 6 ottobre del 1943 scatenò contro i tedeschi nel tentativo di cacciarli dalla città. Fece seguito una durissima rappresaglia contro la popolazione. Il bilancio dell’insurrezione fu di 47 vittime tra ufficiali e militari di truppa tedeschi e 11 partigiani e 12 civili uccisi. La rivolta fu guidata dal partigiano Trentino La Barba, che cadde in combattimento e per il suo sacrificio fu decorato di medaglia d’oro al valor militare, mentre Pirri rimase ferito nel corso della battaglia guadagnandosi sul campo la qualifica di partigiano combattente.
Nei paesi europei ancora sotto il dominio delle truppe naziste, sono venute alla luce vicende di resistenza che soltanto l’accesso alla documentazione oggi consultabile nel portale “Ricompart” ha consentito di conoscere: Domenico Del Brocco (classe 1919), superstite dell’eccidio della divisione Acqui di stanza sull’isola di Cefalonia, in Grecia, che dopo l’armistizio non si arrese ai tedeschi e resistette per circa due settimane fino a capitolare e dare luogo al massacro di oltre 5.000 soldati Italiani. I superstiti, compreso Del Brocco, furono trasferiti nei lager in Germania da dove fu liberato dalle truppe russe nel febbraio del 1945, per trovare la morte nel successivo mese di novembre per fatti di guerra non meglio specificati nel suo foglio matricolare. Oggi di Domenico Del Brocco non c’è traccia sulle lapidi dei caduti del monumento cittadino, ma la sua partecipazione attiva nella resistenza ai tedeschi a Cefalonia gli fu riconosciuta da parte della commissione istituita già nel 1947 che lo qualificò come partigiano combattente.
In Albania, le truppe italiane lì presenti alla data dell’armistizio non vollero arrendersi all’esercito tedesco, e si costituì con 170 soldati volontari il battaglione “Antonio Gramsci”, che si unì all’esercito di liberazione del Paese. In questo reparto, guidato da un leggendario fornaio toscano, Terzilio Cardinali, Medaglia d’Oro al valor militare, si aggregò il ceccanese Felice Bucciarelli (1911), che combatté a fianco dei suoi commilitoni contro i nazisti ed ebbe l’onore, assieme alla sua brigata, di sfilare per primi nella Tirana liberata come segno di riconoscenza dell’intero popolo albanese.
Infine, per avere un quadro completo della resistenza italiana nel 1943-1945, va senz’altro citata la vicenda degli I.M.I. (Internati Militari Italiani), di cui abbiamo già scritto in passato soprattutto a proposito del significato storico del rifiuto della maggioranza di loro a aderire alla Repubblica di Salò come atto fondante, ormai riconosciuto da tutti gli storici, della resistenza italiana al nazi-fascismo. I militari ceccanesi prigionieri nei lager nazisti, dislocati in Germania,Austria, Polonia e Cecoslovacchia, furono complessivamente 236, di questi,sette erano civili, compresa una donna, Antonietta Gallucci, che fu prelevata dalla fabbrica di munizioni di Bosco Faito, accusata di azioni di sabotaggio e internata in un lager a Berlino. Dei 236 I.M.I., soltanto un militare aderì alle offerte di rimpatrio per chi avesse aderito ai proclami della nuova Repubblica fascista, mentre il rifiuto costerà la vita a 11 ceccanesi, morti dietro i reticolati dei lager nazisti.

Spero che la completa ricostruzione storica della partecipazione dei ceccanesi alla Resistenza aiuti finalmente a conciliare, anche nella nostra città, quello spirito di ribellione alla base del riscatto dall’oppressione dittatoriale che contribuì alla liberazione e, soprattutto, alla nascita della democrazia e della libertà nel nostro Paese.