La Resistenza degli Ultimi

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Storia di una donna ceccanese deportata nei lager nazisti

di Luigi Compagnoni

Ogni anno, con l’avvicinarsi delle celebrazioni per il 25 aprile, torna lo scontro fazioso tra le parti che, di fatto, ha sempre impedito un’analisi serena e libera da preconcetti di uno dei momenti più importanti della nostra storia recente. Affinché il 25 aprile sia finalmente la Festa della Liberazione di Tutti, non dovrebbe essere vista con il senso di vittoria di una parte e sconfitta dell’altra, ma come il culmine di uno sforzo di tutti gli italiani per ribellarsi dalla tirannia in cui versavano da ormai troppo tempo. La storia infatti riporta alla luce non solo chi imbracciava fucili e apparteneva a schieramenti politici organizzati, ma anche figure solitarie che a loro modo, e in maniera non violenta, decisero di ribellarsi anche mettendo a rischio la propria vita.

Con il supporto di tanti dati e notizie da archivi fino a pochi anni fa inaccessibili , finalmente è possibile ricostruire tante storie di comuni cittadini che, anche senza imbracciare il fucile, hanno manifestato il loro dissenso alla dittatura a cui non possiamo restare indifferenti.

In tempi recenti, l’Archivio Centrale dello Stato ha pubblicato in rete gli archivi della Croce Rossa Italiana riguardanti l’elenco dei reduci internati nei lager nazisti dopo l’8 settembre del 1943. Sul ruolo degli I.M.I. (Internati Militari Italiani)abbiamo già scritto in passato soprattutto a proposito del significato storico del rifiuto della maggioranza di loro ad aderire alla Repubblica di Salò come atto fondante, ormai riconosciuto da tutti gli storici, della resistenza Italiana al nazi-fascismo.

Ma le notizie che emergono dalla lettura emozionante degli elenchi, finalmente resi pubblici, sono ancora più interessanti. Negli elenchi, che sono stati suddivisi per provincia, sono indicati i nominativi di 106 ceccanesi che nel giugno del 1945 transitarono nei centri di raccolta di Milano o Bolzano nei vagoni provenienti dai lager tedeschi una volta liberati dalle truppe Sovietiche o Alleate. Nello scorrere  l’elenco,  la nostra attenzione è caduta su un nominativo di una donna, Antonietta Gallucci, nata a Ceccano nel 1923, indicata con lo status di civile e internata a Berlino.Seppure in possesso dei suoi dati,reperiti nell’Anagrafe comunale, non si è riusciti da subito a trovare tracce di congiunti o familiari diretti presenti a Ceccano, soprattutto perché Antonietta dal 1957 era emigrata a Roma, dove si era sposata senza avere figli. Soltanto attraverso un paziente lavoro di ricerca svolto con l’amico Adriano Masi nella zona della Cardegna, e intervistando alcune persone che portano lo stesso cognome,si sono avuti i primi riscontri sulla figura di Antonietta, scomparsa  negli  anni ’90. Figlia di Vincenzo,ingegnere che aveva lavorato anche negli Stati Uniti alla costruzione di ferrovie, faceva parte di una famiglia composta da 4 sorelle e un fratello ed aveva lavorato come infermiera presso l’ospedale Fatebenefratelli, nell’isola Tiberina, a Roma, prestando sempre la sua massima disponibilità e assistenza ai compaesani che di volta in volta avevano avuto bisogno di ricoveri o di altre prestazioni sanitarie in quell’ospedale.

Altre notizie in queste ricerche non sono emerse e, quindi, diventava difficile scoprire le ragioni o le cause che avevano condotto Antonietta, dopo l’8 settembre 1943, ad essere deportata in un lager nazista. Finalmente, pochi giorni fa, grazie alla perspicacia del nipote di secondo grado Antonio Gallucci, si riusciva a rintracciare un nipote diretto (Daniele Gallucci, figlio di Luigi, unico fratello di Antonietta) che vive a Roma, ed è emersa la causa della sua deportazione in Germania.

Gallucci Maria Antonia (nell’elenco della C.R.I. indicata come Antonietta)lavorava nella fabbrica di munizioni di Bosco Faito della SNIA-BPD durante la guerra dove, come raccontato nel libro “Il dolore della memoria” dal prof. Angelino Loffredi  ,durante il periodo bellico veniva utilizzata soprattutto mano d’opera femminile. Il lavoro all’interno della fabbrica era soggetto a restrizioni e soprusi di vario genere di stampo autoritario e militare che erano sfociate anche in denunce e licenziamenti del personale addetto alla produzione delle munizioni. Per questo specifico caso, purtroppo, non si riesce a  collocare esattamente la data, perché il nipote Daniele non è stato in grado di fornire altre notizie, ma ha confermato la notizia più importante: Antonietta un giorno si rifiutò di presentarsi al lavoro, forse per protesta personale o forse perché era parte di un piano più grande per sabotare la produzione bellica, non siamo in grado di aggiungere al riguardo nessun elemento a sostegno,ma le conseguenze del suo rifiuto furono drammatiche. Per questo atto, Antonietta venne arrestata il giorno stesso e oggi – grazie agli elenchi dei reduci resi pubblici – sappiamo che addirittura venne deportata in Germania e, secondo la Croce Rossa, il 6 giugno del 1945 transitò a Bolzano proveniente da un lager ubicato a Berlino.

Di questa vicenda non si è mai parlato o raccontato a sufficienza, anche all’interno della sua famiglia o nella sua contrada di origine,forse perché di fatto Antonietta nel 1957 si trasferì a Roma e, tranne sporadiche visite a Ceccano,visse e lavorò in altri luoghi e magari, come capitato a migliaia di altri ex deportati o soldati, volle dimenticare quei tragici periodi.

Nella ricorrenza del 78° anniversario della Liberazione, ho voluto raccontare la storia di una comunissima persona che, senza imbracciare il fucile o appartenere ad una forza politica organizzata, si ribellò all’oppressione e ne pagò le conseguenze fino alla deportazione.

Spero che queste storie aiutino finalmente a conciliare anche nella nostra città quello spirito di ribellione alla base del riscatto dall’oppressione dittatoriale che contribuì alla liberazione e soprattutto della nascita della democrazia e della libertà nel nostro paese.

Siamo il distretto del rifiuto?

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È di questi giorni la discussione sulla possibilità di veder nascere un biodigestore, impianto di lavorazione di rifiuti raccolti da ambienti domestici, nella zona industriale tra Frosinone e Ceccano. Le posizioni di associazioni, mediche e ambientaliste, sono tanto agguerrite quanto distanti e abbiamo capito che sull’argomento non esiste, e non esisterà, una linea comune. Da un lato i medici che vedono la nuova impiantistica come il fumo agli occhi perché inserito in un territorio che, e su questo non crediamo ci siano dubbi, già soffre e combatte per livelli di inquinamento tra i più alti in Italia, dall’altro gli ambientalisti proiettati in un futuro roseo che di impianti per il trattamento di rifiuti come quello ne include molti altri e diversificati.

Sono un’ambientalista convinta e lo sarò sempre perché nell’inquinata Valle del Sacco sono nata e vivo. Sono un’ambientalista convinta perché  gli ultimi venti anni della Valle del Sacco li ho osservati e raccontati da giornalista. Da una città, Ceccano, che gareggia con Frosinone solo per i livelli stratosferici di inquinamento.

Il dibattito che si vuole animare è vecchio e certamente poco utile. Hanno già deciso. Ma non ce lo dicono. Come non ci hanno detto di aver sancito la vocazione della provincia di Frosinone a terra dei rifiuti. Siamo noi gli abitanti del Centro Italia scelti dalle direttive governative per iniziare a definire i programmi di sviluppo da qui ai prossimi decenni. Siamo noi quelli scelti per trasformarci in distretto del rifiuto. Siamo noi quelli che dopo la desertificazione industriale dell’ex Cassa del Mezzogiorno oggi siamo chiamati a vedercela da soli con un bel pacchetto di SIN (i famigerati siti di interesse nazionale), aree che riescono a produrre solo decreti di interdizione per ogni genere di attività e che nell’ultimo ventennio ci hanno indicato con l’evidenziatore come territorio depresso e abbandonato. Con buona pace dei milioni di euro stanziati a più riprese nelle fasi di emergenza ma mai arrivati per trasformare in fatti quanto scritto nero su bianco. La prima emergenza della Valle del Sacco ha mandato in fumo 11 milioni di euro con un unico risultato: zero interventi e addirittura perimetri da ridefinire (con la nuova CARATTERIZZAZIONE).

Ora, di fronte ad uno scenario così devastante, davvero questa popolazione dovrebbe credere che un impianto biodigestore (insieme a quanti altri?) sarebbe il primo passo verso un futuro migliore? Chi ce lo assicura? Quali garanzie si offrono ai cittadini? Perché questi cittadini dovrebbero fidarsi? Quali sarebbero gli organi deputati a controlli e verifiche periodiche di certificazioni e autorizzazioni?

Il dibattito sembra essere solo un vecchio trucco, quello del volerla buttare nel caos quando in pochi hanno già deciso sulle nostre teste. Ogni discussione può considerarsi utile quando gli attori che la animano si misurano sullo stesso piano. Mettere medici contro ambientalisti è solo un modo per lasciarci l’illusione che ci siano margini per decidere. Ma così non è visto che da un lato ci sono i numeri delle patologie che la popolazione sta affrontando in questo territorio devastato da anni di inquinamento delle acque, dei terreni e dell’aria – dati concreti che ogni famiglia, purtroppo, può verificare sulla pelle – e dall’altro le speranzose proiezioni degli ambientalisti che dalla loro tirano in ballo le realtà che in altre parti d’Italia raccontano di paradisi ecologici nati intorno ad impianti come quello che si vuole da noi. Ma le altre zone d’Italia, signori, non sono la valle del Sacco. Non esiste un’altra Valle del Sacco in Italia. È il contesto che fa la differenza.

Sono tanti i quesiti che restano senza risposta e che scattano la fotografia di una terra in sofferenza.

Perché nella nostra provincia ci sono sindaci che non riescono ad esercitare il loro ruolo di tutori della salute pubblica e non vengono ascoltati quando rifiutano di sottostare ai ricatti occupazionali che per decenni ci hanno portato a questa situazione?

Perché le associazioni ambientaliste non sono scese in campo quando quei sindaci li hanno chiamati in aiuto per opporsi all’ennesimo insediamento per il trattamento di rifiuti sul territorio?

Perché di fronte all’assenza del Registro dei Tumori (altro record per la nostra provincia: a Latina esiste da oltre 20 anni) che metterebbe in luce la verità sulla diffusione delle malattie, le associazioni ambientaliste restano in silenzio?

Perché il biodigestore risulta essere l’unica alternativa possibile per il nostro distretto? Perché non si parla mai di altro? Possibile che accanto ai distretti chimico e farmaceutico rimasti nella nostra provincia non si possa parlare di poli per la formazione, di trasformazione e recupero delle aree industriali che non guardino esclusivamente al settore dei rifiuti?

DEI DIRITTI E DELLA LIBERTÀ. A CECCANO

L’iniziativa con l’artista iraniano Reza Olia a pochi giorni dall’omaggio al martire del lavoro Luigi Cerroni

Il prossimo 14 gennaio, alle 17 (presso il bar pasticceria Zambardino) a Ceccano, il filosofo, poeta e scrittore Filippo Cannizzo, insieme alla CGIL, promuoverà un’iniziativa sulla questione dell’Iran, particolarmente sentita in tutto il mondo per le recenti azioni compiute contro i diritti delle donne. Ospite dell’iniziativa sarà l’artista Reza Olia – membro del consiglio della resistenza iraniana, da decenni impegnato per i diritti delle donne in Iran e autore della statua dedicata al pendolare nel giardino della stazione ferroviaria di Ceccano -. Sarà un’occasione per affrontare uno dei temi più caldi e di forte attualità e non è un caso che spunti a poche settimane da un’altra iniziativa che si è svolta sempre a Ceccano per porre l’attenzione su un altro diritto, quello al lavoro.

IL LAVORO

Nuovi dibattiti, discussioni che si trasformano e la comunicazione che sperimenta strumenti innovativi, ma i temi di cui si occupa la politica restano quelli di sempre. Come il lavoro. Anzi, prima di ogni altro il lavoro. Chi lo ha fatto? Chi ha pensato di rimettere sul tavolo quella delicata questione che soprattutto una certa parte di politica sembrava aver dimenticato? Ci ha pensato Ceccano, la città-laboratorio, la più incandescente quando la discussione mette a confronto generazioni di militanti politici, quella dove, dopo anni di dominio declinato solo a sinistra, una mattina la maggioranza della popolazione si è svegliata con lo sguardo a destra, scrivendo una pagina di storia che ancora una volta ha anticipato i tempi del traguardo che l’Italia intera ha visto tagliato solo lo scorso autunno con l’elezione della prima Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

Di lavoro, dicevamo, è tornato a parlare in una Ceccano profondamente diversa da quando c’era lui seduto sulla poltrona di sindaco, Maurizio Cerroni. L’occasione è stata l’iniziativa promossa dalla Cgil provinciale nella sede di  Ceccano, dove il 21 dicembre 2022 è stata scoperta una targa intitolata al padre di Maurizio Cerroni, Luigi Cerroni, martire del lavoro. Come ricordato in apertura dell’evento l’8 maggio del 1972, durante la posa di un cavo elettrico, Luigi Cerroni cadde da un balcone. Trasportato all’ospedale di Frosinone, le sue condizioni apparvero subito gravi e a causa del profondo trauma cranico riportato venne trasferito presso l’ospedale Gemelli di Roma, dove morì l’11 maggio, a soli 50 anni. A 100 anni dalla nascita di Luigi Cerroni è arrivato l’omaggio della Cgil provinciale nel corso di una iniziativa promossa da Guido Tomassi (segretario Lega SPI CGIL), Beatrice Moretti (segretario generale SPI CGIL) e Giovanni Gioia (segretario generale CGIL Frosinone-Latina). Insieme ai loro interventi pronunciati con parole di partecipazione alla difesa del lavoro particolarmente applaudito è stato il lungo intervento (versione integrale sul portale http://www.loffredi.it) dell’ex sindaco Angelino Loffredi,  negli anni di quei fatti, segretario della sezione PCI di Ceccano (e solo più avanti sindaco della città fabraterna).

RICORDARE

“Nella mia attività lavorativa – ha ricordato ai tanti presenti Maurizio Cerroni –  e anche come amministratore pubblico, al consiglio Provinciale e nelle diverse istituzioni elettive, ho cercato sempre di sensibilizzare e promuovere, con la mia associazione AMNIL, iniziative mirate alla formazione e alla prevenzione degli infortuni sul lavoro. I morti sul lavoro, dei veri martiri, vanno ricordati, onorati e va portato rispetto verso tutte le famiglie colpite nel corso dei decenni da una tanto grave forma di lutto. Alcuni anni fa, nel 1996, questi motivi portarono l’amministrazione comunale di Ceccano (nel periodo nel quale ero sindaco), a realizzare un monumento dedicato a tutti i martiri del lavoro. Il monumento fu inaugurato alla presenza di tante autorità, ma il mio ricordo va alle centinaia di persone che parteciparono. Qualche anno dopo, nel dicembre del 2007, l’allora sindaco Antonio Ciotoli pose una lapide di marmo con i nomi dei caduti.

Ancora è vivissimo in me quel ricordo. Conservo gelosamente la medaglia, importante riconoscimento in memoria dei caduti sul lavoro, e la pergamena che venne consegnata nelle mani di mia madre, così come alle altre vedove e agli orfani dei caduti sul lavoro. Davvero tante sono state le iniziative a cui si è dato vita su questo tema, a partire da quelle promosse dal già sindaco di Ceccano Angelino Loffredi, con la posa dei garofani rossi sotto la stele di marmo nella ricorrenza del 1 maggio. Però, andrebbe ricordato a tutti che la Giornata Nazionale vittime sul lavoro va celebrata, ricordata civilmente da parte dei Comuni, Province, Regioni, nella data del 9 ottobre. Purtroppo, in molti casi non si ricorda il necessario rispetto che meritano tutte le vittime del lavoro. Non ricordare è una grave colpa, visto che il fenomeno è ancora dolorosamente presente e le morti sul lavoro sono costantemente in crescita. Il sindacato e le istituzioni devono combattere, impegnarsi, denunciare, investire sui controlli, obbligando le imprese ad investire sulla sicurezza e la salute delle persone sul lavoro”.

Nell’iniziativa della Cgil provinciale a Ceccano, però, Cerroni ha colto molto: “Intanto a nome della mia famiglia, e insieme alle mie sorelle Pina e Rosa, voglio rivolgere un ringraziamento di vero cuore alla Cgil provinciale di Frosinone per l’iniziativa promossa in ricordo di nostro padre. In questi lunghi anni ho avuto la possibilità di incontrare tante persone, compagni di lavoro che avevano conosciuto mio padre, e da tutti ho avuto il riscontro che era un gran lavoratore e una persona buona. Questo è un ricordo che noi, figli e parenti, preserviamo. Nostro padre è stata una persona buona e rispettata. Mio padre, nato in una famiglia di 4 fratelli e 3 sorelle, in una famiglia contadina, figlio di Giuseppe e Angela Loffredi ha poi sposato mia madre, Masi Teresa, ed è stato padre di tre figli, Giuseppina, Maurizio e Rosa. Mio padre, come gli altri fratelli, ha avuto la forza di cambiare. Prima di tutto la loro condizione. E Roma è stata una grande occasione. Certo era duro fare il pendolare, ma lì c’era lavoro. E questa è la storia comune di migliaia di ceccanesi, il fenomeno del pendolarismo, verso la capitale.

Iniziò a lavorare con l’impresa elettrica SCAC che operava tra il Molise e l’Abruzzo subito dopo la guerra, occupandosi della costruzione di linee elettriche palificazione, elettrodotti. Insomma, lui e i suoi colleghi erano uomini che lavorano a decine metri di altezza dal terreno, andando in alto con grandi staffe ai piedi, come angeli, buttando le spalle nel vuoto e alzano le mani in cielo. Un lavoro speciale. Ancora oggi se penso a mio padre continuo a vedere così, in alto su i grandi tralicci, spalle nel vuoto e mani verso il cielo; lì da solo, lo immagino felice e sereno, libero. In seguito venne assunto dalla S. R. E. L. Società Romana Elettrica Lazio. Nel corso della sua vita ha partecipato a tanti scioperi per la Nazionalizzazione Elettrica. Finalmente, nel 1963 nacque Enel. Nello stesso anno venne assunto in questa neonata azienda statale Enel. Pendolare per quasi tutta la vita nella città di Roma. Lui, vissuto in una famiglia contadina socialista e antifascista, esternava liberamente le sue idee e quando serviva sottolineava il fatto che lui votava per il Partito Comunista Italiano, manifestando orgogliosamente la sua iscrizione e adesione al sindacato Cgil. Molti ricordi mi tornano alla mente dai suoi racconti di lotte, di scioperi, di fatica, di lavoro e nuove conquiste. Ancora, parlava spesso di sindacato e di quei sindacalisti che arrivano sul posto di lavoro nella pausa pranzo e condividevano “pane e companatico”, in particolare modo ricordava di quel sindacalista comunista, detto ‘il rosso’ per il colore dei suoi capelli: Paolo Ciofi. Quindi, mio padre fu trasferito a Frosinone nel 1971 presso Enel Zona di Frosinone”. L’8 maggio del 1972, come detto, la tragedia. “E’ vivo in me un ricordo indelebile, quello dei suoi funerali nella Chiesa di Santa Maria a Fiume, con la bara uscita dalla chiesa e portata in spalla dai tanti colleghi di lavoro, con il corteo funebre che attraversò tutta la città di Ceccano sino al cimitero. La storia di mio padre è la storia di tanti operai che alzavano la mattina per andare a lavoro e non hanno fatto più ritorno. Se un giorno, in qualsiasi luogo, qualcuno si ricorda di ‘loro’ è una cosa buona e giusta. Ricordare i martiri del lavoro è anche un monito verso tutti, perché non si può morire di lavoro.

C’è una poesia bella e struggente di Pablo Neruda che mi torna spesso alla mente:

<<Il Padre….

la mia vita sotto il sole trema e si allunga….

Padre, i tuoi dolci occhi non possono nulla,

come nulla poterono le stelle.

Padre

Ascolterò nella notte le tue parole! >>

SCEGLIERE

Nell’intervento dell’altro ex sindaco, Angelino Loffredi, presente alla cerimonia della CGIL, la scelta di campo che solo la politica può intraprendere:

<<Oggi ci vediamo per ricordare un nostro concittadino, Luigi Cerroni, morto sul lavoro e tanti altri che continuano a perdere la vita per lo stesso motivo con un ritmo di tre al giorno: mancanza di prevenzione e di controllo sui posti di lavoro. (…)

Era il lunedì delle elezioni politiche del 1972, in quel periodo ero segretario della sezione comunista di Ceccano, pertanto ero impegnato e completamente assorbito a seguire lo svolgimento delle stesse nella mattinata ed a raccogliere i risultati elettorali nel pomeriggio e nella sera”.

Sì, il 1972, anno dell’arrivo a Frosinone di Enrico Berlinguer, anno di quel mitico ed indimenticabile 1° maggio in cui un lungo corteo di macchine e motociclette partite da Ceccano, dopo un lungo giro nella Valle dell’Amaseno lo accompagnò dalla Palombara fin sulla Piazza del comune di Frosinone, ove tenne il più partecipato comizio dell’epoca repubblicana. Quello è anche il giorno in cui conobbi Maurizio in sella alla sua fiammante motocicletta.

In una nota che ho letto in questi giorni, riportata su uno dei mie quaderni, che insieme ai tanti manoscritti di comizi e interventi pronunciati negli ultimi 50 anni, gelosamente conservo, ho trovato questo appunto; si tratta di poche righe ma significative. “Alle elezione del 1972 la sezione dove il PCI ha avuto più voti è la settima, quella delle Celleta, il 61%, proprio la sezione dove aveva votato Luigi. Fra i tanti sicuramente c’era anche il suo”.

Alla domanda: dove eri il giorno del funerale di Luigi Cerroni quando venne portato a spalla dai suoi colleghi di lavoro dalla chiesa di Santa Maria a Fiume, attraversando tutto il paese, fino al Cimitero? Posso rispondere: in piazza, occasionalmente. Furono Pasquale Micheli, un compagno tuttora vivente e Francesco Del Brocco, successivamente consigliere comunale, a raccontarmi dell’accaduto”.

Ricordo che in quel momento collegai Luigi Cerroni ad un mio parente, Luigi Loffredi, operaio dell’Enel, scomparso un anno prima, anch’egli vittima di un incidente sul lavoro e che aveva terminato i suoi giorni su una sedia a rotelle. Era un collegamento legato solamente dalla commiserazione e dalla pietà. Autocriticamente, confesso, a tanti anni di distanza, non pensai alla necessità che si dovesse aprire una lotta contro gli omicidi sul lavoro. Noi comunisti a Ceccano eravamo concentrati e continuamente impegnati per assicurare i servizi civili nelle campagne: strade bitumate, potenziamento dell’energia elettrica, estensione del servizio idrico ecc. ecc, inoltre a portare il sindacato nelle fabbriche, a batterci per l’occupazione e per dare sostegno al popolo vietnamita. Non avevamo messo al centro una iniziativa contro gli incidenti nei posti di lavoro. Tale tema è diventato importante solo negli anni successivi.

Luigi Cerroni, scomparso a soli 50 anni ricordo che aveva lavorato con l’impresa SCAC sin dal dopoguerra, un’impresa addetta alla palificazione degli elettrodotti. Successivamente aveva lavorato per la Romana elettricità e partecipato agli scioperi per la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Dopo il 1963 divenne dipendente dell’Enel. Era iscritto alla CGIl ed orgogliosamente affermava di votare per il PCI. Fino al 1971 Luigi ha fatto il pendolare. Solo da questo periodo incomincia a lavorare a Frosinone. Possiamo affermare senza sbagliare che aveva fatto una vita da pendolare>>.

PENDOLARI DEL LAVORO

<<A Ceccano – continua Loffredi – sappiamo che parlare dei pendolari vuol dire proporre non una storia ma tante storie, aspramente vissute, ricche e partecipate. Non dimentichiamo che nei giardini della stazione ferroviaria esiste addirittura il Monumento al Pendolare, realizzato dall’artista iraniano, Reza Olia, durante il periodo in cui Cerroni era sindaco. Per tutti gli anni sessanta e anche successivamente a Ceccano ogni giorno oltre mille operai partivano per andare a lavorare a Colleferro, Castellaccio e Roma. Raggiungevano la stazione ferroviaria a piedi o in bicicletta, con la pioggia, con il vento, con la neve. Viaggiavano su treni scomodi di legno, mossi a carbone, freddi d’inverno e torridi di estate. Più di qualche volta in risposta ai disagi subiti, ad un segnale convenuto i pendolari bloccavano il treno, aspettavano la polizia e l’arrivo dei giornalisti, spiegavano i motivi della fermata, poi nel momento in cui capivano che la notizia il giorno dopo sarebbe stata messa in circolazione, ottenendo così un clamore nazionale, ritornavano sui vagoni tranquilli e composti.

I pendolari hanno rappresentano il popolo in lotta, sono occupati prevalentemente nell’edilizia. Quando i metalmeccanici nazionalmente sono in crisi e per tanto tempo pagano la sconfitta avvenuta alla Fiat nel 1955, sono gli edili, quindi i pendolari ceccanesi, a scontrarsi con la polizia a Piazza Colonna, a battersi e conquistare il miglior contratto di lavoro, quello che eliminava il cottimo ed elevava la remunerazione salariale..

Sono i pendolari che durante lo sciopero del 1962 – quando Luigi Mastrogiacomo venne ucciso -, durante il mese di maggio si fermano tutte le sere avanti i cancelli della fabbrica a solidarizzare con gli operai del saponificio Annunziata in lotta, portando loro denaro per proseguire lo sciopero. Sono i pendolari quindi la forza politica più consapevole ed avanzata, quella che nei cantieri ascolta e discute con i sindacalisti.

Sono i pendolari che acquistano prima del ritorno a casa il giornale Paese Sera e, sempre sul treno, ne commentano le notizie, trasformando il viaggio in un seminario di apprendimento e di lotta politica. Sì, Luigi faceva parte di questo esercito, di tale avanguardia. Costoro conoscono cosa sia il conflitto, senza averlo studiato nelle Università, sanno che ogni obiettivo non si conquista senza lotta e senza unità. Senza questo esteso, consapevole strato sociale, caro Maurizio noi non avremmo avuto i nostri successi elettorali, non ci sarebbe stato un partito comunista che arrivò ad ottenere a Ceccano il 48% di voti. Quando andavamo nelle contrade a discutere ad organizzare le piattaforme di lotta chi partecipava già sapeva che non esisteva conquista senza lotta e senza unità. Sapeva che, come si dice adesso, doveva metterci la faccia. Era la strada che ci era stata spianata dall’esperienza politica e sindacale dei pendolari.

In questi giorni, pensando a Luigi Cerroni ho avuto un grande tarlo fra miei pensieri, più volte mi sono chiesto: possibile che un uomo che afferma di essere comunista che, come mi raccontava mio padre, fu in grado di contestare Checco Battista durante la campagna elettorale della primavera del 1956, lo stesso giorno della festa di battesimo del figlio Maurizio, possibile mi sono lungamente chiesto che questo uomo non sia mai stato iscritto al PCI?

E’ anche vero che la differenza fra iscritti e voti è stata sempre sproporzionata. Tantissimi voti ma pochi iscritti. Nel 1976, per esempio 4.000 voti ma solo 600 iscritti. Comunque mi son messo a trovare nei vecchi registri degli iscritti. Dagli anni 50 andando all’indietro fino all’immediato dopoguerra. Per qualche giorno non ho trovato niente di niente fino a quando , quasi sfiduciato, sono arrivato al Registro del 1944. Su questo ho trovato iscritto, con tanta trepidazione, Luigi Cerroni, bracciante, di Giuseppe,residente in Celleta, numero 10. Risulta essere uno dei primi iscritti: il 2 agosto del 1944.

Quando a Ceccano erano stati abbattuti i ponti sul Sacco e sulla ferrovia e non esistevano collegamenti fra le due realtà cittadine, quando proprio qui attorno, presso la Piazza, San Nicola, San Pietro e Borgo Pisciarello esisteva distruzione, si avvertiva sofferenza e miseria un nucleo di comunisti si univa, si organizzava e provava generosamente di rispondere alle esigenze della città. Quando un giorno chiesi a mio padre perché in quell’estate del quarantaquattro si iscrisse al partito comunista mi rispose “perché se i comunisti avevano vinto in Russia si poteva vincere anche in Italia”. Era la speranza di un radicale cambiamento che muoveva le coscienze e l’agire degli uomini. Tanti anni più tardi Berlinguer interpretando quelle eccezionali speranze la definì come la spinta propulsiva nata dalla Rivoluzione d’Ottobre. E di questa esperienza, pur esaminando e rilevando qualche errore che nel corso degli anni possa esserci stato, ne dovremo essere sempre orgogliosi e portatori.

Mi sento di terminare questo intervento con una necessaria considerazione: se i partiti per tanti anni hanno saputo ben rappresentare il lavoro realizzando una Costituzione che sin dall’articolo uno faceva riferimento al lavoro stesso; se hanno costruito uno stato sociale e nel 1978 una riforma sanitaria la migliore del mondo e se oggi purtroppo sono divisi e ancor più sono scalabili, corruttibili, fortemente condizionati da forze economiche predatorie l’unica forza d’opposizione rimane il sindacato. Prima fra tutte la CGIL, organizzazione che ancor oggi a Ceccano ed in Italia dimostra di stare dalla parte dei lavoratori. Teniamone conto>>.

Ceccano è questo – e molto, tanto, tanto di più – e se nei giorni scorsi qualcuno abbia scelto di tornare a mettere una lente d’ingrandimento sulla “questione lavoro” non è certo un fatto isolato. Merita di essere guardato come un segno del movimento politico che la città non ha mai smesso di alimentare. Qualcuno obietterà che se ne parla sempre nelle stesse stanze, sempre tra gli stessi, sempre nelle stesse modalità. Eppure è lì, in quella dimensione, seppur ormai logora e ridotta a brandelli, che riprende il dibattito sospeso e dove anche le giovani generazioni di politici possono provare a guardare, per scegliere di prenderne le distanze, o di farne un riferimento. Perché, forse, una giusta sintesi è quella citazione pronunciata nella giornata dedicata al martire del lavoro Luigi Cerroni dal figlio Maurizio: <<Recita una canzone di De Gregori: Noi siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano>>.

LA SCOMMESSA DELLA BELLEZZA

Parlare, riflettere, provare a dare un’idea. Lo facciamo spesso, lo fa il mondo intero e lo si fa guardando ai tanti problemi che ogni giorno ci tengono impegnati. E se provassimo a farlo guardando a quei problemi, alle ansie, ai disagi in maniera diversa? Se provassimo a spostare l’obiettivo lontano dai puntini neri allargando l’immagine all’insieme, al grande foglio?

Deve essersi fatto queste domande il filosofo Filippo Cannizzo all’indomani della serata di presentazione del suo libro Lacrime di gentilezza. Sulle tracce della bellezza per una (ri) generazione umana la scorsa estate in piazza a Ceccano, perché da lì è nata l’idea di non disperdere quell’intuizione e da lì ha preso forma l’iniziativa trasformata in un forum dal titolo provocatorio: ‘Ceccano capitale della bellezza’. Con l’occhio puntato alla linea guida dell’Agenda 2030.

Cannizzo ha trovato subito un giovane alleato, Adriano Papetti e insieme hanno promosso l’affollato incontro che sabato scorso si è tenuto presso l’ex cinema Italia dove molti ‘interpreti’ hanno accolto l’invito a partecipare per dare conto del loro sguardo alla ‘bellezza’.  E forse, accettando, non tutti avevano compreso la volontà precisa dei promotori ma il risultato finale ha lasciato un bel po’ di argomenti sul tavolo come un cassetto che si (ri)apre dopo un lungo periodo e da cui poter recuperare parole-chiave da cui farsi guidare.

LA SEMPLICITÀ –  Gianluca Popolla ha dato il via al pomeriggio e con decisione è andato dritto al punto: con l’associazione Cultores Artium il sogno di un giovane Andrea Selvini si è fatto realtà e da qualche anno sul territorio regala a turisti di ogni dove che arrivano al maestoso Castello l’affascinante storia dei Conti de’ Ceccano. L’azione culturale è degna di menzione per i risultati raggiunti e consolidati dal nulla ad oggi.

L’UMANITÀ – Lorenzo Pelloni ha regalato lacrime e una lezione umana di alto profilo con il viaggio che lui affronta da volontario (e presidente nazionale dell’associazione che guida) di clowterapia tra i reparti pediatrici degli ospedali del territorio e i sorrisi degli anziani che incontra con il suo gruppo nelle case di riposo. Un racconto senza filtri che ha commosso per

L’INCONTRO – Un sindaco illuminato e un’associazione teatrale. Sono gli ingredienti del progetto che l’attrice e regista Anna Mingarelli insieme alla sua compagnia teatrale sta portando avanti in provincia di Rieti. Così il comune di Rocca Sinibalda, 600 residenti, è riuscito a portare l’Europa a casa, proprio in casa degli abitanti disponibili all’accoglienza degli stranieri, con progetti di scambio culturale internazionale che renderà il piccolo centro fulcro di iniziative pluriennali. L’integrazione non è utopia.

LA POLITICA – Un ex sindaco Maurizio Cerroni ancora una volta proiettato verso il futuro, che non dimentica di citare l’anima anarchica di una città, Ceccano, che ha sempre tirato fuori le carte giuste e che ha già dimostrato di saper fare cultura, se vuole. Un ex sindaco che, a proposito di ‘Contea’ rivendica la paternità della ricerca storica che negli anni ’90 l’hanno portato, insieme ad Edoardo Papetti, alla scoperta dei de’ Ceccano e all’impresa amministrativa dell’acquisto dei due castelli. Primo a credere che dietro un’idea può nascere e crescere sviluppo. 

IL RICORDO – La bellezza di una città lontana ma ancora viva nella mente di chi, come il consigliere comunale di Frosinone Armando Papetti, ha voluto condividere con i presenti all’ex cinema Italia. Ceccanese per via di madre, Papetti ha riportato a galla i momenti di un’infanzia spensierata, vissuta in un ambiente semplice, lungo le sponde di un fiume vivibile con tanti protagonisti di quel momento storico.

L’ANALISI LUCIDA – Porta la firma del sociologo Maurizio Lozzi, fresco di stampa con il suo nuovo libro Un SACCO di silenzi: l’agonia di un fiume lasciato morire, la fotografia del momento e l’invito ad agire senza perdere ulteriore tempo: serve che tutti si facciano artefici del cambiamento!

L’ARTE – Intorno agli interpreti del pomeriggio dedicato alla ‘bellezza’ le opere della pittrice Fabiana Fioretti. Con il garbo di chi sa parlare attraverso i colori, di chi sa ascoltare, bella e gentile anche nell’espressione mentre spiega le sue proiezioni sulla tela, ha tirato fuori il suo messaggio elegante. Il punto di vista dall’interno.

I GIOVANI – Le grandi rivoluzioni passano per i più giovani. Per gli ideali che soprattutto i giovani non sono disposti a barattare e per i quali vale sempre la pena battersi. Ceccano è la città che più di molte ha saputo imparare dai giovani e dal mondo delle associazioni: lo sanno bene i ragazzi di Progresso Fabraterno che nell’ultimo periodo hanno dettato la linea e hanno mobilitato l’attenzione dell’opinione pubblica accanto a gruppi civici e partiti. Francesco Compagnone ha raccontato la voglia di cambiare condivisa con il numeroso gruppo riunito da Francesco Ruggero e raccogliendo l’invito alla bellezza ha lanciato, a sua volta, l’appello all’ascolto, all’unità d’intenti.

LE DONNE – Lo spazio che si è ripresa Elisa Tiberia senza la necessità di pronunciare la parola  ‘donna’. Il ruolo dell’altro punto di vista che la società ceccanese, fino a poco tempo fa, ha sempre dimostrato di poter affidare a chi, semplicemente, con un proprio contributo sa di poter partecipare al miglioramento. Una chiamata all’azione cui è giusto farsi trovare pronti anche in un momento difficile come quello che viviamo. Perché esserci conta di più.

LA SCUOLA – Dal prof. Alessandro Liburdi la serena riflessione di chi vive la fortuna di farsi travolgere dalla bellezza degli studenti, oggi accanto agli oltre 800 iscritti dell’Istituto Alberghiero di Ceccano (ma anche come prolifico scrittore con all’attivo diverse ‘belle’ pubblicazioni, ultimo in ordine di tempo il racconto Il trio degli anelli, per l’antologia Ciociari per sempre, Edizioni della Sera, 2022, a cura di Simona Riccardi) e che, allo stesso tempo, sa di poter iniziare da loro a coltivare la cultura del bello.

I BENI COMUNI – Nel discorso di Gino de Matteo una indicazione precisa: osservare in maniera attenta lo spazio di azione all’interno del quale interagire. I beni comuni che vale la pena di eleggere per la nostra cura. E lo dice raccontando il piacere di osservare una città che ama la questione politica e che ne sa fare impegno civico.

FARE ANCORA – Dopo aver già fatto. Se la si vede come l’ex assessore Salvatore Raoni che ai presenti ha voluto ricordare i punti alti della sua amministrazione, in particolare con la cultura, i progetti sul cinema e quelli del teatro, tutti incentrati sulla struttura dell’Antares. Un sistema operativo, quello dell’ex amministratore, in grado di concentrare su Ceccano un movimento culturale di qualità.

LA CITTÀ – La città che vorrebbe la consigliera comunale Emanuela Piroli e quella che ogni giorno vive a contatto con le persone e confrontandosi con loro. Da consigliera comunale, da medico, per Emanuela Piroli l’approccio è concreto e si nutre proprio dell’umanità che troppo spesso dimentichiamo.

IL TEMPO – Il collante che ha unito i partecipanti all’iniziativa promossa da Filippo Cannizzo è il tempo e non è certo un caso che l’osservazione sia arrivata da Alessandro Ciotoli, presidente dell’associazione IndieGesta e direttore artistico del Dieciminuti Film Festival, da venti anni alla guida di un movimento culturale finito sotto gli occhi di tutti, ben oltre i confini di Ceccano. Il tempo che decidiamo di dedicare agli altri, pensando ad una città migliore, condividendo gli aspetti del bello individuale per trasformarlo in bellezza.

LA BELLEZZA – Il senso della giornata nella conclusione di Filippo Cannizzo: fare comunità di chi desidera Ceccano come la città dei bambini e dell’ambiente,  la città dei diritti e dell’integrazione, la città dello sport e delle fragilità, la città dei giovani e del lavoro, la città della cultura e delle persone di ogni età. Perché Ceccano, anche seguendo le indicazioni dell’Agenda 2030, può immaginarsi città della bellezza e diventarlo in pochi anni. Infatti, la bellezza e la gentilezza possono rappresentare un investimento sul futuro, quello di un cambiamento all’insegna del benessere collettivo e degli individui, del miglioramento della qualità della vita, anche per questa città.

Pensando alla bellezza che verrà un nuovo appuntamento è stato già proposto dal gruppo per gennaio prossimo.

IL GENIO DI CLAM, LA FORZA ESPRESSIVA DI BICE

In piazza San Giovanni il Festival Francesco Alviti regala la brillante performance firmata da Beatrice Mancini e intitolata al padre Claudio

Quando l’avvocato Claudio Mancini mi mostrava con orgoglio le sue composizioni pensavo sempre che quelle brillanti espressioni meritassero un pubblico molto più vasto della dimensione provinciale in cui vivevamo entrambi. Ho conosciuto l’avvocato Mancini, Clam come lo ricordano tutti, fondatore dell’Inclito Rompi Club, quando la sua attività letteraria era diventata puro esercizio intellettuale e, lo ammetto, per anni ho sperato che quegli scritti non finissero nel dimenticatoio delle voci inascoltate. C’è voluta un’altra Mancini alla fine, sua figlia Beatrice, regista e sceneggiatrice teatrale per riportare alla giusta dimensione lo straordinario talento espressivo contenuto in quelle strofe.

Nell’extra del Festival Francesco Alviti la performance che Beatrice Mancini ha regalato alla Ceccano di suo padre e della sua gloriosa famiglia, ha fatto brillare il patrimonio creativo di Clam, tirando fuori un inedito spazio di arte pura. Nel giorno del compleanno di Claudio Mancini, il 25 luglio scorso. Roba da incorniciare e che provo a raccontare qui per chi avesse perso l’occasione di uno spettacolo senza precedenti nel quale si sono esibiti anche Francesco Lombardi (al piano) e come autore del ‘Clam Theme’, Massimiliano Malizia (alla tromba), Mirko Chiucchiolo (al trombone), The Monkey Brown Raffaele Bove (al contrabbasso), Luca Quattrociocchi (alla batteria) e con la voce Fabrizio Parenti.

La serata ‘Ricomincio da Clam – Chi si ferma è perduto’ ha avuto un promotore, quel geniaccio di Pietro Alviti che insieme a sua moglie Vittoria D’Annibale si sono resi conto per primi della potenza dell’incontro tra l’ingegno del padre e l’espressività della figlia. Perché se al primo vanno riconosciuti i meriti di composizioni ardite – basta citare “l’omaggio” a Draghi che l’autore ha saputo proiettare nel futuro conservandolo oltre la sua stessa esistenza – è, di certo, nella performance della seconda che quelle ironiche prese di posizione sono diventate pugni in faccia di amara attualità. Schiaffi ad un mondo sempre meno attento al passato, alla storia, agli errori che abbiamo già ripetuto senza renderci conto di aver imboccato strade sempre più strette. Il tutto condito da spruzzate di satira, da sberleffi all’ultradecennale gestione amministrativa della sinistra nella sua Ceccano dove “si intitolano strade a sindacalisti sconosciuti e si dimenticano uomini illustri come Giuseppe Mazzini”. In quei suoi scritti non c’è trucco e non si hanno dubbi su quale sia stata la sua vocazione politica perché Clam era così: una penna tagliente, maestro di satira e anche testimone di un lungo corso storico dell’Italia che la militanza politica da democristiano della prima ora gli aveva permesso di attraversare.

E poi la poesia… In quel dialogo ideale che Bice (così amava chiamarla Clam) ha messo in scena con la voce fuori campo del padre, richiamato ai doveri di genitore, ritrovato nei viaggi condivisi, ammirato per la sua poliedrica attività intellettuale. Un po’ uguali, un po’ diversi. Silenzio e occhi lucidi in piazza San Giovanni a quel punto perché in quel breve scambio di parole Bice ha saputo toccare le corde del sentimento.

Brava Bice! Ci hai emozionato e grazie per aver regalato a Ceccano una prima assoluta. Vai avanti e segui con coraggio la strada che ha indicato Clam perché “Chi si ferma è perduto!”.

25 Aprile …. la Liberazione è per tutti!

Vicende e tragedie dei partigiani ceccanesi

di Luigi Compagnoni

Il 25 aprile rappresenta, nella storia d’Italia, un giorno epocale che segnò la nascita dello Stato democratico dopo la dittatura e la guerra civile tra fascisti e antifascisti.

Dopo oltre 70 anni, si aggiungono altri elementi storici di approfondimento e di conoscenza di vicende individuali di quelle generazioni ribelli che hanno contribuito a costruire la Repubblica democratica nella quale viviamo.

La Liberazione ha 77 anni, ma è bene che i giovani siano consapevoli del passato e di cosa abbiano provato i lori nonni o parenti e capire che l’antifascismo non è una questione politica, ma è un valore che non può e non deve essere strumentalizzato da nessuno o essere ridotto a mero scontro ideologico.

Da maggio 2020 sono disponibili online le pagine del Portale Ricompart (Partigiani d’Italia), dove è possibile consultare le schede, intestate a singole persone e ordinate alfabeticamente, che contengono: dati anagrafici (nome, cognome, luogo di nascita, nome del padre e della madre, etc.); attività svolte nelle formazioni partigiane e negli altri corpi volontari; notizie su ferite, mutilazioni o decesso; lavori della Commissione; esito della valutazione sul riconoscimento. Questa preziosissima fonte documentaria rappresenta una significativa e nuova risorsa per gli studi sulla Resistenza italiana.

Il movimento partigiano, una volta per tutte, non fu ascrivibile esclusivamente ad un singolo schieramento politico o partito, ma coinvolse tutti coloro che si opposero alla dittatura fascista: socialisti, comunisti, cattolici, monarchici, Partito d’Azione, fronte militare clandestino e vi furono anche partigiani non schierati politicamente ed appartenenti a formazioni locali o anche gregari sparsi. La lotta al fascismo fu trasversale tra la popolazione, e consentì nell’immediato dopoguerra di gettare le basi dell’attuale stato democratico fondato sulla costituzione repubblicana. Dibattere ancora oggi sulla valenza democratica e sul valore della Resistenza è del tutto antistorico perché il 25 aprile è realmente la Liberazione per Tutti!!

Anche nella nostra città, Ceccano, il movimento Partigiano ebbe un notevole seguito e l’analisi delle schede del fondo Ricompart lo evidenzia chiaramente e apre nuove chiavi di lettura che confermano come la Resistenza ai nazi-fascisti non fu un aspetto isolato, ma riguardò ampie fasce della popolazione locale come nel resto della nazione.

I dati che emergono e sui quali sarà necessario compiere, negli anni a venire, ulteriori   approfondimenti e ricerche sono molteplici, ma confermano la radicalizzazione dello scontro e del sacrificio di ampi strati della popolazione contro gli oppressori dei principi di libertà e democrazia di cui oggi tutti beneficiamo.

Nel fondo Ricompart risultano censiti ben 80 ceccanesi ai quali viene riconosciuta la qualifica di combattente per la Patria con varie qualifiche (Partigiano, Patriota, Gregario, ecc..) così come individuato nei verbali delle Commissioni regionali che, a partire dal 1946, analizzarono le documentazioni relative alle vicende della resistenza degli italiani.

Già il dato complessivo dei partigiani ceccanesi è di valore assoluto se rapportato al numero dei soldati della nostra città caduti durante la Seconda Guerra Mondiale (142 caduti) o prigionieri degli inglesi a partire del 1940 (circa 200) o prigionieri dei tedeschi a partire dall’8 settembre del 1943 (circa 250) che. tranne pochissime eccezioni, scelsero la dura prigionia nei lager nazisti pur di non aderire agli ideali fascisti e di loro, 12 ceccanesi perirono dietro i reticolati.

Altro dato rilevante e sorprendente, visto che in questi 77 anni nella nostra città nessuno ne ha parlato, la presenza di ben 5 donne alle quali fu riconosciuta la qualifica di partigiano combattente:

Tranne Regina Bruni, madre del martire Francesco Bruni, trucidato dalle S.S. a Roma, di cui negli anni scorsi già Angelino Loffredi ne aveva tracciato le vicende storiche, delle restanti donne non si hanno tracce o notizie, mentre a mio avviso questo è uno degli aspetti più interessanti da ricostruire: le donne ebbero un ruolo attivo e non marginale nella resistenza all’oppressore anche nel Lazio e non soltanto nel Nord Italia.

Altre storie che riemergono dagli archivi, anche in questo caso affrontate marginalmente o poco enfatizzate nella memoria del nostro paese, le vicende dei partigiani ceccanesi attivi in altre regioni italiane, in particolare in Piemonte e in alcuni casi, come Orlando Nicolia, con ruoli di comando di formazioni partigiane attive nella resistenza ai nazi-fascisti in quei territori.

Infine, la vicenda incredibile di Felice Bucciarelli, riconosciuto dalla commissione Esteri per la sua partecipazione alla lotta partigiana in Albania, vicenda che ha del romanzesco e che andrebbe raccontata ai nostri ragazzi. Il reparto di Felice, dopo l’8 settembre, non si arrese ai tedeschi ma si schierò con i partigiani albanesi, coprendosi di gloria tant’è che il giorno della liberazione di Tirana, furono fatti sfilare per primi in segno di riconoscenza del popolo albanese per il valore dei soldati italiani, che invece di fuggire o aderire alla repubblica di Salò combatterono i nazisti. Anche su questa vicenda nella nostra comunità non vi è stato negli anni il dovuto riconoscimento per questo nostro concittadino, a tutti noto in città per la sua attività di macellaio.

Il 25 aprile non dovrebbe essere strumentalizzato da nessuno (pro o contro), ma deve essere vissuto come il culmine dello sforzo dell’Italia che si ribella e che non vuole essere oppresso ed anche nella nostra città il sacrificio degli ottanta partigiani, alcuni dei quali  trucidati dalle S.S. assieme ad altre decine di sostenitori o fiancheggiatori,  non può essere dimenticato o ricordato solo nella giornata del 25 aprile, ma deve essere presente nel nostro agire quotidiano e riconosciuto nel suo significato più profondo senza nessun preconcetto e strumentalizzazione di parte. Che il 25 aprile sia finalmente la Festa della Liberazione di Tutti, anche di chi la pensava in maniera opposta!

Elenco dei partigiani ceccanesi come da Archivio:

80 D’Annibale, Augusto Tigre (Ceccano, Frosinone), commissione: Piemonte

Il Centenario del Milite Ignoto, il ricordo dei caduti ceccanesi dispersi nella Grande Guerra

di Luigi Compagnoni

Esattamente 100 anni fa, il 4 novembre 1921, ebbe luogo la tumulazione del Milite Ignoto nella cripta  dell’Altare della Patria.

Quando, dopo la conclusione del primo conflitto mondiale, nel corso del quale avevano perso la vita circa 650.000 militari italiani, il Parlamento approvò la legge 11 agosto 1921, n.1075, “per la sepoltura in Roma, sull’Altare della Patria, della salma di un soldato ignoto caduto in guerra”, la Commissione appositamente costituita per la individuazione dei resti mortali di quello che sarebbe diventato il “Milite Ignoto”, compì ogni possibile sforzo affinché non fosse possibile individuare la provenienza “territoriale” del Caduto prescelto e neppure il reparto o la stessa forza armata di appartenenza. L’unico requisito assunto come inderogabile fu quello della sua italianità per questo furono esplorati  tutti i luoghi nei quali si era combattuto con lo scopo di scegliere una salma ignota e non identificabile per ognuna delle zone del fronte: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele, tratto da Castagnevizza al mare.

I resti mortali dei caduti recuperati nelle varie zone del fronte, una sola delle quali sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano, furono trasportati  nella Basilica di Aquileia. Qui venne operata la scelta tra undici bare identiche. A guidare la sorte fu chiamata una donna  di Trieste, Maria Bergamas, il cui figlio Antonio, era caduto in combattimento senza che il suo corpo potesse essere identificato.

Questo elemento di assoluta indeterminatezza, unito alla casualità della scelta finale della bara, tra undici identiche, effettuata da parte di Maria Bergamas, consentì a tutti gli italiani di identificare una persona cara in quel militare sconosciuto.

Anche la nostra città versò un tremendo tributo di sangue nella carneficina della Prima guerra mondiale (1915-1918), 250 ceccanesi perirono sul fronte in combattimento o in seguito alle ferite o malattie. Il numero dei militari ceccanesi caduti è impressionante rispetto ai caduti della Seconda guerra mondiale (che causò la morte di 142 militari della nostra città) se si considera che la Prima guerra mondiale ebbe una durata minore e soprattutto interessò un fronte di gran lunga inferiore, di fatto le truppe Italiane furono impegnate ‘solo’ nel confine Nord-Est (Carso, Dolomiti ecc..) e verso la fine della guerra alcuni reparti furono impiegati anche sul fronte Francese (Valle dell’Ardre, Bligny…).

Ma ancora più  tragico è il numero dei caduti ceccanesi i cui resti restarono sepolti o abbandonati in luogo ignoto… ben 25 !! Privando di fatto i loro familiari di poter piangere su una tomba o in un Sacrario.

Come restarono non identificati le salme di circa 200.000 soldati al termine della grande  guerra.

Il Milite Ignoto ha rappresentato  e continuerà a rappresentare nella memoria della nostra  nazione tutto ciò: identificare tutti i caduti a cui non è stato possibile dare una degna sepoltura in quel soldato sconosciuto.

Di seguito l’elenco completo dei dispersi Ceccanesi di cui si ignora il luogo di sepoltura per questo nel Centenario della traslazione del Milite Ignoto, da Aquileia a Roma, è doveroso da parte della nostra comunità ricordarne i nomi in questa solenne commemorazione. 

Elenco militari Ceccanesi dispersi durante la 1^ Guerra Mondiale durante operazioni di combattimento  e di cui si ignora  il  luogo di sepoltura

  1. Anelli Liborio (1897) disperso il  3 novembre 1918  sul fronte Francese
  2. Bartoli Giuseppe Antonio (1882) scomparso  in prigionia in data ignota
  3. Bruni Zaccaria (1881) disperso il 21 agosto 1917 in luogo ignoto
  4. Cerroni Giuseppe (1891) disperso il 18 ottobre 1917 in luogo ignoto
  5. Cervoni Francesco (1887) disperso  il 16 maggio  1916 su Cima Valbona , Trento
  6. Cipriani Pietro Antonio (1892) disperso il 18 giugno 1916 sul Monte Gonetta
  7. Cristofanilli Luigi (1894) disperso l’11 luglio 1915 sul Monte Interrotto , Asiago
  8. Del Brocco Angelo (1889) disperso il 16 novembre 1915 a Zagora
  9. Di Lorenzo Sosio (1893) disperso il 25 luglio 1915 sul Monte Sei Busi
  10. Di Mario Luigi (1898) disperso il 30 settembre 1917 sul Monte San Gabriele ( Slovenia)
  11. Di Pofi Giuseppe Angelo (1894) disperso il 16 aprile  1916 a Malga Cucco
  12. Di Stefano Pietro (1894) disperso il 24 agosto 1917 sulla Vertoiba ( Slovenia )
  13. Fiacco Pietro (1897) disperso il 10 febbraio 1917 sul Monte Santa Caterina ( Slovenia)
  14. Fiore Francesco (1884) disperso l’11 ottobre 1916 a Nova Vas ( Slovenia )
  15. Germani Felice (1891) disperso il 16 maggio 1916 a Monfalcone , Gorizia
  16. Loffredi Giovanni (1887) disperso il 28 agosto 1917 sulla  Bainsizza   (Slovenia )
  17. Maini Domenico (1896) disperso il 3 giugno 1916 sul Monte Cengio
  18. Malizia  Domenico  (1884) disperso il 10 ottobre 1916 , Nova Vas (Slovenia)
  19. Malizia Lorenzo (1894) disperso il 3 dicembre 1917 in luogo ignoto
  20. Massa Pasquale (1887) disperso il 6 giugno  1917 su  Monte  Ermada , Altopiano del Carso
  21. Mastrogiacomo Salvatore (1897) disperso il 7 settembre 1915  Monte S. Gabriele (Slovenia)
  22. Micheli Sebastiano (1888) disperso il 29 ottobre1915 sul Col di Lana
  23. Pirri Salvatore (1897) disperso il 9 febbraio 1917 sul monte Santa Caterina ( Slovenia)
  24. Pizzuti Luigi (1893) disperso il 24 novembre 1915 a Castel  Nuovo del Carso
  25. Staccone Francesco (1893) disperso il 3 giugno 1916 sul Monte Cengio

Giffoni Experience 2021. Un grido di felicità

di Cristina Cavicchini

Un vecchio professore un giorno mi disse “se vuoi la verità, chiedi ad un bambino”.
Non era Claudio Gubitosi ma credo che i due non si discostassero molto nel pensiero, contando che quest’ultimo, nel 1971, decise di fare dei bambini di Salerno, e poi di tutta Italia, giuria di uno dei Festival, ancora oggi, più acclamati e attesi dalla critica cinematografica di tutto il mondo.
Lo stesso François Truffaut, nel 1982, in una lettera lasciò scritto: «Di tutti i festival del cinema, quello di Giffoni è il più necessario». Troppo spesso infatti abbiamo dimenticato, e ancora dimentichiamo, il potere salvifico dei bambini, che esso riecheggi in sorrisi o, come in questo caso, nel futuro del cinema.
Non solo cinema, ma storie di coloro che troppo spesso vengono relegati a meri studenti o,
peggio, a menti spontanee prive di pensiero critico. Storie che si intrecciano e snodano tra i
personaggi protagonisti delle opere in concorso e i Juror dell’hub di Ceccano (tra l’altro unico Hub rappresentante della regione Lazio oltre Roma, sapete?) e che ho avuto il privilegio di assaporare, tutte in ogni loro singola sfumatura.
“La speranza di una vita migliore” è il tema della seconda giornata che ha aperto il sipario ai +13 con il film Her Name Was Jo. Una storia, quella di Jo, che la vede fuggire dall’ostilità della sua Virginia. Così come, non solo figli, ma anche padri e madri sono fuggiti, e ancora fuggono, dalla povertà e dalla corruzione delle loro virginie, alla ricerca di speranze nuove. Di una vita migliore. “Cambiare la vita con la forza delle proprie idee” è l’altro tema cardine di questo Cinquanta +1, stavolta capitanato da Snotty Boy e ambientato nell’Austria degli anni ’60. Un’Austria, in realtà, non troppo lontana da quella attuale. Come si cambia il destino di una Nazione, e poi quello del mondo intero?


“Noi non vogliamo che queste persone ci rappresentino, noi vogliamo cambiare e mostrarci per ciò che siamo!”. Sono le parole che dalla Sala Truffaut si propagano nelle aule del Liceo
Scientifico di Ceccano, che quest’anno ospita Giffoni e i suoi ragazzi. Sono Amy, Leonardo,
Francesco, Luca, ragazzi dediti all’innovazione e alla realizzazione di una società migliore. Una società che, proprio come Giffoni, lasci alle nuove, piccole, generazioni la libertà e la facoltà di rispondere, di decidere. Un’eccezione direte voi, tutti abbiamo avuto menti più brillanti di altre nelle nostre aule scolastiche, e invece no, credetemi. Beatrice, Vanessa, Sara, Anna, Valeria, Simone, Elisa, David, Riccardo, e tutti gli altri ragazzi che hanno composto questo meraviglioso gruppo, si sono fatti portavoce di una generazione che sa e che vuole di più da chi è rimasto inerme per troppo tempo.
Sono stati dieci giorni intensi questi di Giffoni Experience, un trionfo di valori che ben si esplicano nei lungometraggi vincitori.
I DON’T WANNA DANCE di Flynn Von Kleist (Olanda) per la categoria +13, dove a trionfare è un giovane ballerino e la sua ricerca della felicità.
E ancora, THE SHORT HISTORY OF THE LONG ROAD di Ani Simon-Kennedy (Usa) la fa da padrone per la categoria +16. Un lungometraggio che ci ricorda che non tutti sono nemici, che fidarsi è ancora possibile, se solo lo si vuole.
A ricordarci, invece, dell’importanza delle proprie scelte, e di quanto fantasia e realtà non siano poi così lontane, ci pensa NINJABABY, vincitore della categoria +18. Tratto dalla graphic novel FALLTEKNIKK di Inga Sætre, racconta della 23enne Rachel e della sua inaspettata gravidanza.
Poiché l’aborto non è più un’opzione, essendo la ragazza al sesto mese di gravidanza, l’adozione resta l’unica risposta. È allora che compare NinjaBaby, un personaggio animato che fa di tutto per rendere la vita quotidiana di Rakel un inferno.
Grazie

Roma Capitale omaggia l’avvocato Claudio Mancini

C’è un tempo per vivere e c’è un tempo per farsi ricordare. L’avvocato Claudio Mancini lo sapeva bene e, forse, sapeva anche che a qualche anno dalla sua scomparsa le sue attività in vita sarebbero state ricordate a livello istituzionale.

Giornalista, avvocato Toga d’Oro, docente. Erede di una lunga e prestigiosa vicenda familiare divisa tra la città di Ceccano e il cuore della Capitale. E anche politico attivo, tra i responsabili del movimento giovanile della Democrazia Cristiana, a livello capitolino, in un’Italia ormai lontana ma che tanto ha saputo fare per mettersi in mostra nel mondo.

Di Claudio Mancini, l’avvocato e prof. Claudio Mancini, si può raccontare da più punti di vista, soffermandoci nella prima parte della sua vita, quella degli anni della formazione a Roma o, attraversando l’esperienza del boom economico, fino alla incisiva opera di ispiratore e principale promotore della nascita dell’ex Istituto tecnico commerciale (oggi ITE) nella sua Ceccano. Solo per citare alcune delle ‘battaglie’ da lui portate avanti con l’obiettivo di lasciare un segno.

L’avvocato Claudio Mancini ci ha lasciato nell’ottobre del 2018 (https://spaziolibero.blog/tag/claudio-mancini/) ma la sua opera va pian piano istituzionalizzandosi, a ragione di un impegno civico che mai lo ha abbandonato nel corso della sua esistenza e che lo ha visto tra i pochi protagonisti di cambiamenti a favore della società ceccanese.

È di questi giorni, infatti, la notizia di una prossima iniziativa che sarà dedicata alla memoria dell’avvocato Claudio Mancini. Il Primo Municipio di Roma Capitale dedicherà il nuovo campo di basket del Liceo Ginnasio Statale Virgilio a ricordo dell’avvocato Mancini, un allievo dalle mille risorse intellettuali e ideatore di tanti spazi culturali (e non solo) diventati pilastri nell’offerta formativa del famoso liceo che ha avuto tra i molti allievi la scrittrice Elsa Morante, il regista premio Oscar Bernardo Bertolucci, il cantautore Francesco De Gregori e il regista Carlo Verdone agli esordi della sua carriera scolastica.

L’avvocato Claudio Mancini al liceo Virgilio ha firmato la direzione de ‘La Fronda’, giornale nel quale con un gruppetto di sfrontati liceali amava raccontare quegli anni di Storia d’Italia. Da qui prese il via la sua grande passione per la scrittura, la poesia e per il giornalismo. Al preside chiese un’aula per riunirsi con gli altri, studiare e confrontarsi, gettando le basi dell’associazione degli ex allievi che ancora oggi esiste.

È sempre degli anni del ‘Virgilio’ la vocazione che lo seguirà anche oltre l’età del Liceo, per lo sport, in particolare la pallacanestro e il baseball. Da universitario continuò a gestire il circolo degli studenti organizzando i campionati in cui militavano la squadre di basket e baseball del Virgilio.

Da cronista raccontò le vicende sportive (nel frattempo era anche diventato corrispondente della cronaca giudiziaria del quotidiano Il Tempo di Roma) e qualche anno dopo, a Ceccano, promosse la nascita di una squadra di baseball, fondata da Pinetto Bonanni, che per molti anni è riuscita a militare nei campionati italiani.

Di quell’esperienza romana Mancini mantenne sempre forti legami e amicizie durate tutta la sua vita e soprattutto la voglia di poter ricreare quell’atmosfera studentesca anche a vantaggio degli studenti della provincia. Fino alla fondazione dell’Istituto tecnico commerciale, la prima scuola superiore che nasceva nella città di Ceccano grazie all’intraprendenza dell’avvocato Claudio Mancini.

Il prossimo settembre una targa intitolata all’avvocato Claudio Mancini sarà scoperta in una cerimonia alla presenza di sua figlia Beatrice; quella targa campeggerà nel cuore di Roma ricordandoci di poterci sentire, come suoi conterranei, un pizzico orgogliosi. 

Betto Tomassi, tra i “Diavoli di Zonderwater”

di Luigi Compagnoni

Il giornalista Federico Buffa a partire dal 4 maggio racconterà su Sky la storia dei Diavoli di Zonderwater .

Buffa racconta le vicende umane di quei giovani italiani rinchiusi in Sudafrica e privati di tutto, che nello sperduto campo di Zonderwater, grazie allo sport, ritrovarono la dignità. Lontani da casa, dagli affetti. Ma anche lontani dalla battaglia. Soldati nel pieno della giovinezza. Un’intera generazione, il maggior numero di prigionieri di guerra italiani, quasi centomila, fra il 1941 e il 1947 si ritrovarono esiliati in Sudafrica, nel campo di Zonderwater, il più popoloso della Seconda Guerra Mondiale. In un paesaggio lunare, arido e bersagliato dai fulmini, come sopravvivere alla fame, alle malattie, alla noia, alla nostalgia del proprio Paese? La soluzione si deve al colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo, un capo illuminato, che capì che a quei giovani uomini bisognava restituire una vita normale e scelse lo sport come alleato. Gare di scherma, atletica, ginnastica, incontri di boxe, un campionato di calcio con andata e ritorno e persino prigionieri-star, come Giovanni Vaglietti, del Torino, anima degli invincibili Diavoli Neri. Tra questi, il ceccanese Benedetto Tomassi, conosciuto da tutti come “Betto”, classe 1920. Nel dicembre del 2010 ebbi modo di intervistarlo su quella vicenda, la ripropongo volentieri oggi.

Nel  campo di prigionia di Zonderwater arrivarono dai vari fronti di guerra in Africa anche molti ragazzi ceccanesi. Tra i 252 prigionieri Italiani morti a Zonderwater c’è, ad esempio, anche Giacinto Ferri, nativo della contrada di Colle San Paolo, appartenente al 55° Reggimento Artiglieria “Brescia” fatto prigioniero dagli Inglesi e morto nel campo di prigionia sudafricano il 7 giugno 1942. Di un altro ceccanese che trascorse sei lunghissimi anni nel campo di Zonderwater possiamo farci raccontare da lui stesso la storia. Stiamo parlando di Benedetto Tomassi da tutti conosciuto come “Betto”, classe 1920, fatto prigioniero in Africa settentrionale e tornato in Italia nel 1946. Betto è conosciuto oltre che per l’appassionata militanza politica anche per i suoi trascorsi calcistici come ala destra della squadra del Ceccano nel dopoguerra e fece parte della formazione che il 26 gennaio del 1946  sconfisse il Frosinone in casa per 1 a 0. Partiamo appunto dalla sua passione per il calcio per farci raccontare la sua avventura nel campo di prigionia in Sudafrica  .

Betto ma nel campo di prigionia di Zonderwater si giocava a calcio?

Sì, nel campo esistevano addirittura, se non ricordo male, 14 campi di calcio e si disputavano veri campionati con gironi di andata e ritorno che duravano anche mesi. Alle partite assistevano tanti prigionieri che facevano un tifo incredibile, come si fosse trattato di partite di serie A. A proposito, non ricordo i nomi, ma credo che in alcune squadre di prigionieri militassero giocatori che avevano giocato nei campionati di serie A e B. Ricordo che ci fu anche una partita tra guardie carcerarie e una rappresentativa di prigionieri che finì 10 a 0 per noi con grande disappunto per i Sudafricani.

In effetti a Zonderwater, come si legge in un recente libro di Carlo Annese “I diavoli di Zonderwater”, oltre al calcio, nel campo di prigionia si svolsero con continuità anche altri sport come la scherma, l’atletica leggera e il ciclismo. Per la boxe ci fu un   combattimento tra Gino Verdinelli di Velletri e Giovanni Manca che raccolse circa 20.000 spettatori. Oltre al calcio, Betto, hai praticato altri sport?

No, oltre a giocare a calcio l’unica cosa cui ricordo di aver partecipato nel tempo libero era agli spettacoli teatrali dove si allestivano vere e proprie rappresentazioni in costume, dove davo anche una mano a cucire i vestiti di scena. Quell’esperienza mi è servita perché negli anni della prigionia ho lavorato come sarto e non me la sono passata male. La cosa simpatica negli spettacoli erano i personaggi femminili interpretati dagli stessi prigionieri, in particolare ricordo un Sergente di artiglieria che riscuoteva un successo fenomenale tra noi soldati che non vedevamo una donna da anni!

Ricordi di Giacinto Ferri morto nel giugno del 1942?

Ho un vago ricordo di Giacinto, ma c’erano anche altri soldati di Ceccano. Il campo di prigionia era enorme, quasi una città. Di fatto non ricordo come morì Giacinto anche se debbo dire che l’assistenza sanitaria era buona e c’erano nel campo parecchi ospedali. La maggior parte dei decessi, sembrerà strano, era dovuto ai fulmini che cadevano continuamente sul campo, soprattutto quando ancora era costituito dalle tende. Ricordo di un giovane di Anagni, Antonio Colantoni, che rimase fulminato da una saetta. A proposito di Giacinto, ricordo che aveva dei parenti a Colle San Paolo che negli anni passati ho visitato spesso.

Betto hai conservato qualche foto del tuo periodo di prigionia a Zonderwater?

Purtroppo le foto del periodo della mia prigionia sono andate perse durante una Festa dell’Unità, quando furono utilizzate per un’iniziativa sui ricordi dei reduci di guerra. Sarei molto contento poterne tornare in possesso perché è l’unico ricordo della mia permanenza a Zonderwater.

Betto, un’ultima domanda, perché in tutti questi anni non si è mai parlato delle varie  prigionie dei soldati ceccanesi dispersi in tutto il mondo, dall’India all’Australia, dal Sudafrica all’Inghilterra?

Non lo so. Di fatto appena tornati a Ceccano trovammo una situazione – si può dire- ancora peggiore di quella che avevamo lasciato in prigionia. Il primo impulso fu quello di rimboccarsi le maniche e impegnarsi alla ricostruzione senza più pensare agli aspetti negativi che la prigionia aveva lasciato dentro ognuno di noi.

Anche a Betto, scomparso il primo settembre del 2015, ultimo “diavolo di Zonderwater”  di Ceccano, è dedicata la trasmissione in onda dal 4 maggio realizzata dal giornalista Federico Buffa .

Betto Tomassi il giorno dell’intervista, dicembre 2010
La formazione del Ceccano vincitrice al Matusa contro il Frosinone nel 1946