Giffoni Experience 2021. Un grido di felicità

di Cristina Cavicchini

Un vecchio professore un giorno mi disse “se vuoi la verità, chiedi ad un bambino”.
Non era Claudio Gubitosi ma credo che i due non si discostassero molto nel pensiero, contando che quest’ultimo, nel 1971, decise di fare dei bambini di Salerno, e poi di tutta Italia, giuria di uno dei Festival, ancora oggi, più acclamati e attesi dalla critica cinematografica di tutto il mondo.
Lo stesso François Truffaut, nel 1982, in una lettera lasciò scritto: «Di tutti i festival del cinema, quello di Giffoni è il più necessario». Troppo spesso infatti abbiamo dimenticato, e ancora dimentichiamo, il potere salvifico dei bambini, che esso riecheggi in sorrisi o, come in questo caso, nel futuro del cinema.
Non solo cinema, ma storie di coloro che troppo spesso vengono relegati a meri studenti o,
peggio, a menti spontanee prive di pensiero critico. Storie che si intrecciano e snodano tra i
personaggi protagonisti delle opere in concorso e i Juror dell’hub di Ceccano (tra l’altro unico Hub rappresentante della regione Lazio oltre Roma, sapete?) e che ho avuto il privilegio di assaporare, tutte in ogni loro singola sfumatura.
“La speranza di una vita migliore” è il tema della seconda giornata che ha aperto il sipario ai +13 con il film Her Name Was Jo. Una storia, quella di Jo, che la vede fuggire dall’ostilità della sua Virginia. Così come, non solo figli, ma anche padri e madri sono fuggiti, e ancora fuggono, dalla povertà e dalla corruzione delle loro virginie, alla ricerca di speranze nuove. Di una vita migliore. “Cambiare la vita con la forza delle proprie idee” è l’altro tema cardine di questo Cinquanta +1, stavolta capitanato da Snotty Boy e ambientato nell’Austria degli anni ’60. Un’Austria, in realtà, non troppo lontana da quella attuale. Come si cambia il destino di una Nazione, e poi quello del mondo intero?


“Noi non vogliamo che queste persone ci rappresentino, noi vogliamo cambiare e mostrarci per ciò che siamo!”. Sono le parole che dalla Sala Truffaut si propagano nelle aule del Liceo
Scientifico di Ceccano, che quest’anno ospita Giffoni e i suoi ragazzi. Sono Amy, Leonardo,
Francesco, Luca, ragazzi dediti all’innovazione e alla realizzazione di una società migliore. Una società che, proprio come Giffoni, lasci alle nuove, piccole, generazioni la libertà e la facoltà di rispondere, di decidere. Un’eccezione direte voi, tutti abbiamo avuto menti più brillanti di altre nelle nostre aule scolastiche, e invece no, credetemi. Beatrice, Vanessa, Sara, Anna, Valeria, Simone, Elisa, David, Riccardo, e tutti gli altri ragazzi che hanno composto questo meraviglioso gruppo, si sono fatti portavoce di una generazione che sa e che vuole di più da chi è rimasto inerme per troppo tempo.
Sono stati dieci giorni intensi questi di Giffoni Experience, un trionfo di valori che ben si esplicano nei lungometraggi vincitori.
I DON’T WANNA DANCE di Flynn Von Kleist (Olanda) per la categoria +13, dove a trionfare è un giovane ballerino e la sua ricerca della felicità.
E ancora, THE SHORT HISTORY OF THE LONG ROAD di Ani Simon-Kennedy (Usa) la fa da padrone per la categoria +16. Un lungometraggio che ci ricorda che non tutti sono nemici, che fidarsi è ancora possibile, se solo lo si vuole.
A ricordarci, invece, dell’importanza delle proprie scelte, e di quanto fantasia e realtà non siano poi così lontane, ci pensa NINJABABY, vincitore della categoria +18. Tratto dalla graphic novel FALLTEKNIKK di Inga Sætre, racconta della 23enne Rachel e della sua inaspettata gravidanza.
Poiché l’aborto non è più un’opzione, essendo la ragazza al sesto mese di gravidanza, l’adozione resta l’unica risposta. È allora che compare NinjaBaby, un personaggio animato che fa di tutto per rendere la vita quotidiana di Rakel un inferno.
Grazie

Il Quixote di Gilliam vive, finalmente!

La Mancha è un territorio ostile e surreale. Lievi colline verdi che diventano gialle o ocra, zone desertiche e ventose, costellate un tempo da mulini e oggi da migliaia di pale eoliche. Temperature altissime, sole e calore che compromettono vista e lucidità. In questo scenario lunare, avere delle allucinazioni era ordinario. Il genio di Cervantes, maestro della letteratura spagnola del seicento, una vita degna di un romanzo, generò in questo scenario un eroe destinato a diventare immortale: Don Quixote de la Mancha. In una società appassionata di letteratura cavalleresca e di imprese epiche, questo vecchio allucinato cialtrone sconvolse mode e consuetudini, cambiando per sempre la letteratura spagnola, che in quegli anni era il centro del mondo. Terry Gilliam ha avuto una vita altrettanto romanzesca. Le sue produzioni hanno sempre avuto esistenze tormentate e complicate, ultima proprio L’uomo che uccise Don Chisciotte, il film maledetto che sembrava impossibile ormai vedere realizzato. Mi sarebbe piaciuto essere lì, il giorno della prima del film, a vedere le lacrime di gioia di un maestro indiscusso della settima arte che assisteva al coronamento di un sogno durato 25 anni. Chiaramente, il film non è la trasposizione puntuale delle avventure di Don Chisciotte. Rappresenta invece un viaggio onirico, spettacolare, a tratti assurdo dentro la società di oggi, dove il più normale e umano è un vecchio pazzo rimasto intrappolato troppo a lungo dentro a un personaggio. C’è tutto nel film, modernità, messaggio politico, autobiografia. Difficile raccontare la trama, perché sarebbe un peccato andare a vederlo consapevoli di quello che succederà. Bisogna solo sedersi in sala, immergersi nel clima, dare la mano a Gilliam e farsi guidare da lui in un viaggio straordinario dentro la nostra anima. Straordinario Jonathan Pryce (meriterebbe la statuetta più preziosa). Molto abile Adam Driver, che si toglie finalmente di dosso la faccia lessa di Kai Lo Ren e ci mostra di essere un bravo attore. Un film che merita di essere visto, e che potrebbe essere l’ultimo di un maestro vero, un Quixote dei nostri tempi che non si è mai arreso alla forma e ha dimostrato a tutti di avere ragione.

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Visti a Venezia: Capri-Revolution

Capri-Revolution, terzo capitolo della trilogia sull’Italia di Mario Martone, in Concorso a Venezia 75. La protagonista è Lucia (la brava Marianna Fontana) giovane capraia che si ribella al mondo contadino e patriarcale in cui vive avvicinandosi pian piano alla comunità di artisti presente nell’isola. L’ispirazione proviene dalla comunità realmente fondata dal pittore Karl Willhelm Diefenbach all’inizio del Novecento, i cui temi vengono liberamente ampliati fino alla poetica ecologista di Beuys. Nel film la vicenda è ambientata poco più avanti, nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale. La rivoluzione della giovane capraia inizia dall’incontro con il pittore Seybu (Reinout Scholten Van Aschat) guida del collettivo pacifista di artisti nordeuropei. Attratta dalle danze naturiste sotto il sole splendente o la luna piena, diventa parte della comunità e con loro impara a leggere. La sua storia si intreccia anche con quella del giovane medico (Antonio Folletto) amante della scienza e fermo sostenitore di una politica interventista. Tra lo spiritualismo del pittore e il materialismo del medico, la rivoluzione del titolo nelle mani di Lucia diventa scelta di libertà.

Roberta Fiaschetti

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Visti a Venezia: Vox Lux

Vox Lux in concorso a Venezia 75 di Brady Corbet al suo secondo lungometraggio. La strana convivenza dell’ansia sociale e lo star system. Prologo e due atti, 1999, 2001 e 2017, che accompagnano l’ascesa al successo della cantante pop Celeste (da adolescente interpretata da Raffey Cassady, da trentenne da Natalie Portman). Di Willem Dafoe è la voce narrante che è lí per contestualizzare cronologicamente e narrativamente gli eventi. Appena quattordicenne Celeste vive la tragedia, l’incursione di un giovane disturbato a scuola che ha massacrato metà della classe e lasciato lei gravemente ferita. Grazie all’aiuto della sorella (Stacey Martin) inizia una nuova vita da cantante. Dopo aver visto in tv la sua esibizione durante il funerale delle vittime l’agente (Jude Law) la lancia nel mondo della pop music. Con un montaggio frenetico e poco empatico seguiamo i tre in Europa ad incidere canzoni di successo. Lo showbiz si accorge di lei e la fagocita. Il rapporto amoroso tra il suo agente e la sorella la fa sentire sola ed ingannata. Ma Celeste cambia davvero quando l’attentato lo subisce l’America tutta, L ’11 Settembre 2001. Perde la fede in Dio e i valori da brava ragazza. Nella seconda parte (stavolta è Natalie Portman-Cigno Nero ad interpretare la protagonista) è una star nevrotica e alcolizzata che non riesce a gestire nessun tipo di rapporto umano, tantomeno quello con la figlia adolescente (ancora Raffey Cassady). Quello che rimane della giovane sconvolta dagli eventi sono solo i tic dei movimenti del collo. Un altro attentato entra nella vita di Celeste. Solo sul palco, durante l’esibizione, ogni gesto, ogni parola sono quelli giusti è perché Celeste ha stretto un patto con il diavolo “1 for the Money, 2 for the Show”. Uno show tutto glitterato che risulta, però, troppo parodistico. Vox Lux mette esplicitamente in parallelo la perdita degli ideali e dei valori di una adolescente con quella di una intera nazione, il tutto avvolto da una cupa inquietudine.

Roberta Fiaschetti

Visti a Venezia: Acusada

In Concorso a Venezia 75, Acusada di Gonzalo Tobal un modesto dramma giudiziario. La vita della giovane Dolores Dreier (Lali Esposito) è sconvolta dalla morte della sua amica Camila, avvenuta due anni prima. Dopo una festa, la giovane viene assassinata e l’unica ad essere sospettata è Dolores. Durante le indagini si viene a scoprire che qualche settimana prima dell’omicidio Cami aveva reso pubblico un video porno di Dolores, ed ecco il possibile movente. Si crea per il caso un circo mediatico di notevoli dimensioni. I genitori e il gelido avvocato controllano ogni parte della vita dell’ acusada. A pochi giorni dal verdetto Dolores è completamente isolata, non può più uscire di casa senza che i giornalisti la assaltino, non le è permesso neppure di navigare in internet. Problematiche giovanili, sciacallaggio mediatico, il complicato rapporto padre-figlia, c’è tutto, ma niente viene approfondito e ogni cosa è sfiorata appena. Dolores (perennemente con l’espressione irritata) è esasperata al punto da sbattere la testa al muro, letteralmente. La luce non cambia mai, un po’ come nell’ironico set di Boris. l’impressione che lascia è proprio che si tratti di un film televisivo. Probabilmente la nostra Franca Leosini ci avrebbe guidato meglio dentro questa “storia maledetta”. Il mistero più grande resta come faccia ad essere in concorso a Venezia.

Roberta Fiaschetti

Visti a Venezia: La profezia dell’armadillo

La profezia dell’Armadillo in concorso nella sezione Orizzonti a Venezia 75 e al Cinema dal 13 Settembre tratto dal fumetto best seller di ZeroCalcare. Alla regia Emanuele Scaringi al suo secondo lungometraggio. Prodotto da Domenico Procacci che ha creduto anche nell’altro film “a fumetti” di Venezia quello del fumettista GiPi “Il Ragazzo più Felice del Mondo”.
Zero ( Simone Liberati) attraversa Il limbo dei trentenni di oggi, a Rebibbia, tra fossili mastodontici e centri sociali occupati. Discute ogni giorno con l’immaginario armadillo gigante suo consigliere prediletto, interpretato da Valerio Aprea. Creando cosí un divertente commento interno alla storia. A turbare la quotidianità nella periferia romana è la notizia improvvisa della perdita dell’amica Camille, amore d’infanzia mai dichiarato. Zero stavolta si spinge fino al centro di Roma, in compagnia dell’amico Secco (Pietro Castellitto) in un giro notturno della Capitale simpatico omaggio a Vacanze Romane. Molti i personaggi noti, al cinema e non, Adriano Panatta interpreta se stesso in un divertente sketch in aeroporto, Claudia Pandolfi è la madre di Blanka il ragazzino che Zero aiuta con i compiti e Kasia Smutniak la bellissima spazzina. I tempi comici ci sono, i riferimenti politici al G8 e alla Tav anche, scatena più volte la risata e la trama si svela profonda.Però ci si chiede se non sia passato un po’ troppo dalla prima edizione de “La profezia dell’Armadillo” (è del 2011). forse la profezia era di un momento già passato?

Roberta Fiaschetti

Visti a Venezia: At Eternity’s Gate

In concorso a Venezia 75 At Eternity’s Gate, film che rivela l’animo di Van Gogh. Cosa vuol dire essere un artista lo spiega Julian Schnabel, lui stesso pittore, regista del film. Ispirato dai dipinti di Vincent Van Gogh, interpretato magistralmente da Willem Dafoe, attraversa la sua opera con lo stesso sguardo del pittore olandese e delle persone a lui più vicine come l’amato fratello Theo (Rupert Friend) o l’amico Paul Gauguin (il Poe Dameron di Star Wars Oscar Isaac). I movimenti di macchina conducono lo spettatore nella bellezza della natura e di quei dipinti che la ritraggono, solo posteriormente riconosciuti come arte pura. Il film scava negli eventi interiori che portano all’urgenza della pittura, tra la più buia alienazione e la lucida consapevolezza dell’arte e, dunque, della vita. Pur non essendo una biografia vera e propria trasmette il vero essere di Van Gogh, la sua realtà. Le pennellate cariche di tinte date con violenza insieme alle inquadrature sfocate e accuratamente mosse incarnano la sua poetica. Un film per chi sente ancora la necessità della Bellezza.

Roberta Fiaschetti

Visti a Venezia: The Sisters Brothers

The Sisters Brothers, di Jacques Audiard, in concorso a Venezia75. Di nuovo un western, dopo i 6 episodi di The Ballad of Buster Scruggs dei Coen. Il racconto di frontiera viene reintegrato (dopo la celebrazione di The Hateful Eight di Tarantino, certamente). Stavolta si tratta di un western di viaggio, girato da un autore francese. I due cowboy killer, i fratelli Eli (John C. Reilly) e Charlie Sisters (Joaquin Phoenix) sono al soldo del Commodoro. Sono due killer dal sangue freddo ma si beccano come due fratellini dodicenni. Charlie è lo scapestrato con manie di potere che beve whiskey fino a svenire, Eli, il più assennato, gira con uno scialle rosso che annusa romanticamente prima di dormire, è stanco di fare quella vita e acquista un primordiale spazzolino da denti e dentifricio con tanto di istruzioni per l’uso. Danno la caccia ad un’altra coppia, quella formata dal detective (Jake Gillenhall) che cita Thoreau e il chimico utopista che sogna una civiltà egualitaria a Dallas (Riz Ahmed) e ama la scienza. Interesse che lo ha portato a scoprire la formula di una sostanza che, disciolta nell’acqua, fa brillare le agognate pepite d’oro.
La corsa all’oro sconvolge le identità dei protagonisti, il loro precario equilibrio crolla con la punizione che arriva feroce e puntuale. E alla fine non resta che tornare a quello che erano, “reinfetarsi”in un bagno caldo o in un letto appena rifatto. Audiard, si basa sul romanzo di Patrick Dewitt, ma con un tono umoristico formidabile. Scene spassose si alternano a scontri a fuoco cruenti, la battuta si nasconde potenzialmente in ogni scena. Con una magnifica colonna sonora, The Sisters Brothers è un film sull’amore fraterno e sui sogni che siano di utopie irrealizzabili o di reale semplicità.

Roberta Fiaschetti

Visti a Venezia: Tel Aviv on Fire

In concorso nella sezione Orizzonti a Venezia 75, Tel Aviv On Fire. Film diretto dal regista palestinese Sameh Zoabi, racconta della vita non facile dei palestinesi oggi e lo fa con un sense of humour sofisticato e coinvolgente. Il protagonista Salam ( Kais Nashif) viene assunto come consulente per i dialoghi di “Tel Aviv On Fire” soap opera antisionista di spionaggio ambientata durante la Guerra dei Sei Giorni. Salam, costretto a spostarsi tra Gerusalemme e Ramallah dove sono gli studi televisivi, deve sottoporsi ai controlli dei posti di blocco e lì incontra il comandante israeliano Assi (Yaniv Biton), la cui moglie è una fan accanita della serie. Assi si appassiona a tal punto da intervenire nella scrittura degli episodi. Tra i due nasce un sodalizio artistico che porta Salam a diventare unico sceneggiatore della serie.
attraverso un esilarante gioco di intrecci tra trama principale e quella della fiction televisiva il doloroso passato riemerge. passato che in nessun modo si può dimenticare. Il film mostra dai diversi punti di vista, quello del giovane palestinese e quello del soldato israeliano, ciò che accade oggi in Cisgiordania e la possibilità di una convivenza pacifica.
“ Da cosa si capisce che due persone si amano? Dal fatto che si ascoltano l’un l’altra”, dice l’israeliano a Samal durante la stesura delle scene, è qui che va ricercato il messaggio di questa commedia intelligente.

Roberta Fiaschetti

Visti a Venezia: La noche de 12 años

La noche de 12 años, di Alvaro Brechner. Film assolutamente da non perdere, in uscita in Italia il 23 Novembre.
1973. L’Uruguay è governato da una dittatura militare. Una sera d’autunno, tre prigionieri tupamaro vengono sequestrati dalle loro celle nell’ambito di un’operazione militare segreta. L’ordine è preciso: “Dato che non li possiamo uccidere, facciamoli diventare pazzi”. I tre uomini resteranno in isolamento per dodici anni. Tra loro c’è Pepe Mujica che diventerà presidente dell’Uruguay.

Roberta Fiaschetti