La Resistenza degli Ultimi

Storia di una donna ceccanese deportata nei lager nazisti

di Luigi Compagnoni

Ogni anno, con l’avvicinarsi delle celebrazioni per il 25 aprile, torna lo scontro fazioso tra le parti che, di fatto, ha sempre impedito un’analisi serena e libera da preconcetti di uno dei momenti più importanti della nostra storia recente. Affinché il 25 aprile sia finalmente la Festa della Liberazione di Tutti, non dovrebbe essere vista con il senso di vittoria di una parte e sconfitta dell’altra, ma come il culmine di uno sforzo di tutti gli italiani per ribellarsi dalla tirannia in cui versavano da ormai troppo tempo. La storia infatti riporta alla luce non solo chi imbracciava fucili e apparteneva a schieramenti politici organizzati, ma anche figure solitarie che a loro modo, e in maniera non violenta, decisero di ribellarsi anche mettendo a rischio la propria vita.

Con il supporto di tanti dati e notizie da archivi fino a pochi anni fa inaccessibili , finalmente è possibile ricostruire tante storie di comuni cittadini che, anche senza imbracciare il fucile, hanno manifestato il loro dissenso alla dittatura a cui non possiamo restare indifferenti.

In tempi recenti, l’Archivio Centrale dello Stato ha pubblicato in rete gli archivi della Croce Rossa Italiana riguardanti l’elenco dei reduci internati nei lager nazisti dopo l’8 settembre del 1943. Sul ruolo degli I.M.I. (Internati Militari Italiani)abbiamo già scritto in passato soprattutto a proposito del significato storico del rifiuto della maggioranza di loro ad aderire alla Repubblica di Salò come atto fondante, ormai riconosciuto da tutti gli storici, della resistenza Italiana al nazi-fascismo.

Ma le notizie che emergono dalla lettura emozionante degli elenchi, finalmente resi pubblici, sono ancora più interessanti. Negli elenchi, che sono stati suddivisi per provincia, sono indicati i nominativi di 106 ceccanesi che nel giugno del 1945 transitarono nei centri di raccolta di Milano o Bolzano nei vagoni provenienti dai lager tedeschi una volta liberati dalle truppe Sovietiche o Alleate. Nello scorrere  l’elenco,  la nostra attenzione è caduta su un nominativo di una donna, Antonietta Gallucci, nata a Ceccano nel 1923, indicata con lo status di civile e internata a Berlino.Seppure in possesso dei suoi dati,reperiti nell’Anagrafe comunale, non si è riusciti da subito a trovare tracce di congiunti o familiari diretti presenti a Ceccano, soprattutto perché Antonietta dal 1957 era emigrata a Roma, dove si era sposata senza avere figli. Soltanto attraverso un paziente lavoro di ricerca svolto con l’amico Adriano Masi nella zona della Cardegna, e intervistando alcune persone che portano lo stesso cognome,si sono avuti i primi riscontri sulla figura di Antonietta, scomparsa  negli  anni ’90. Figlia di Vincenzo,ingegnere che aveva lavorato anche negli Stati Uniti alla costruzione di ferrovie, faceva parte di una famiglia composta da 4 sorelle e un fratello ed aveva lavorato come infermiera presso l’ospedale Fatebenefratelli, nell’isola Tiberina, a Roma, prestando sempre la sua massima disponibilità e assistenza ai compaesani che di volta in volta avevano avuto bisogno di ricoveri o di altre prestazioni sanitarie in quell’ospedale.

Altre notizie in queste ricerche non sono emerse e, quindi, diventava difficile scoprire le ragioni o le cause che avevano condotto Antonietta, dopo l’8 settembre 1943, ad essere deportata in un lager nazista. Finalmente, pochi giorni fa, grazie alla perspicacia del nipote di secondo grado Antonio Gallucci, si riusciva a rintracciare un nipote diretto (Daniele Gallucci, figlio di Luigi, unico fratello di Antonietta) che vive a Roma, ed è emersa la causa della sua deportazione in Germania.

Gallucci Maria Antonia (nell’elenco della C.R.I. indicata come Antonietta)lavorava nella fabbrica di munizioni di Bosco Faito della SNIA-BPD durante la guerra dove, come raccontato nel libro “Il dolore della memoria” dal prof. Angelino Loffredi  ,durante il periodo bellico veniva utilizzata soprattutto mano d’opera femminile. Il lavoro all’interno della fabbrica era soggetto a restrizioni e soprusi di vario genere di stampo autoritario e militare che erano sfociate anche in denunce e licenziamenti del personale addetto alla produzione delle munizioni. Per questo specifico caso, purtroppo, non si riesce a  collocare esattamente la data, perché il nipote Daniele non è stato in grado di fornire altre notizie, ma ha confermato la notizia più importante: Antonietta un giorno si rifiutò di presentarsi al lavoro, forse per protesta personale o forse perché era parte di un piano più grande per sabotare la produzione bellica, non siamo in grado di aggiungere al riguardo nessun elemento a sostegno,ma le conseguenze del suo rifiuto furono drammatiche. Per questo atto, Antonietta venne arrestata il giorno stesso e oggi – grazie agli elenchi dei reduci resi pubblici – sappiamo che addirittura venne deportata in Germania e, secondo la Croce Rossa, il 6 giugno del 1945 transitò a Bolzano proveniente da un lager ubicato a Berlino.

Di questa vicenda non si è mai parlato o raccontato a sufficienza, anche all’interno della sua famiglia o nella sua contrada di origine,forse perché di fatto Antonietta nel 1957 si trasferì a Roma e, tranne sporadiche visite a Ceccano,visse e lavorò in altri luoghi e magari, come capitato a migliaia di altri ex deportati o soldati, volle dimenticare quei tragici periodi.

Nella ricorrenza del 78° anniversario della Liberazione, ho voluto raccontare la storia di una comunissima persona che, senza imbracciare il fucile o appartenere ad una forza politica organizzata, si ribellò all’oppressione e ne pagò le conseguenze fino alla deportazione.

Spero che queste storie aiutino finalmente a conciliare anche nella nostra città quello spirito di ribellione alla base del riscatto dall’oppressione dittatoriale che contribuì alla liberazione e soprattutto della nascita della democrazia e della libertà nel nostro paese.

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