DEI DIRITTI E DELLA LIBERTÀ. A CECCANO

L’iniziativa con l’artista iraniano Reza Olia a pochi giorni dall’omaggio al martire del lavoro Luigi Cerroni

Il prossimo 14 gennaio, alle 17 (presso il bar pasticceria Zambardino) a Ceccano, il filosofo, poeta e scrittore Filippo Cannizzo, insieme alla CGIL, promuoverà un’iniziativa sulla questione dell’Iran, particolarmente sentita in tutto il mondo per le recenti azioni compiute contro i diritti delle donne. Ospite dell’iniziativa sarà l’artista Reza Olia – membro del consiglio della resistenza iraniana, da decenni impegnato per i diritti delle donne in Iran e autore della statua dedicata al pendolare nel giardino della stazione ferroviaria di Ceccano -. Sarà un’occasione per affrontare uno dei temi più caldi e di forte attualità e non è un caso che spunti a poche settimane da un’altra iniziativa che si è svolta sempre a Ceccano per porre l’attenzione su un altro diritto, quello al lavoro.

IL LAVORO

Nuovi dibattiti, discussioni che si trasformano e la comunicazione che sperimenta strumenti innovativi, ma i temi di cui si occupa la politica restano quelli di sempre. Come il lavoro. Anzi, prima di ogni altro il lavoro. Chi lo ha fatto? Chi ha pensato di rimettere sul tavolo quella delicata questione che soprattutto una certa parte di politica sembrava aver dimenticato? Ci ha pensato Ceccano, la città-laboratorio, la più incandescente quando la discussione mette a confronto generazioni di militanti politici, quella dove, dopo anni di dominio declinato solo a sinistra, una mattina la maggioranza della popolazione si è svegliata con lo sguardo a destra, scrivendo una pagina di storia che ancora una volta ha anticipato i tempi del traguardo che l’Italia intera ha visto tagliato solo lo scorso autunno con l’elezione della prima Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

Di lavoro, dicevamo, è tornato a parlare in una Ceccano profondamente diversa da quando c’era lui seduto sulla poltrona di sindaco, Maurizio Cerroni. L’occasione è stata l’iniziativa promossa dalla Cgil provinciale nella sede di  Ceccano, dove il 21 dicembre 2022 è stata scoperta una targa intitolata al padre di Maurizio Cerroni, Luigi Cerroni, martire del lavoro. Come ricordato in apertura dell’evento l’8 maggio del 1972, durante la posa di un cavo elettrico, Luigi Cerroni cadde da un balcone. Trasportato all’ospedale di Frosinone, le sue condizioni apparvero subito gravi e a causa del profondo trauma cranico riportato venne trasferito presso l’ospedale Gemelli di Roma, dove morì l’11 maggio, a soli 50 anni. A 100 anni dalla nascita di Luigi Cerroni è arrivato l’omaggio della Cgil provinciale nel corso di una iniziativa promossa da Guido Tomassi (segretario Lega SPI CGIL), Beatrice Moretti (segretario generale SPI CGIL) e Giovanni Gioia (segretario generale CGIL Frosinone-Latina). Insieme ai loro interventi pronunciati con parole di partecipazione alla difesa del lavoro particolarmente applaudito è stato il lungo intervento (versione integrale sul portale http://www.loffredi.it) dell’ex sindaco Angelino Loffredi,  negli anni di quei fatti, segretario della sezione PCI di Ceccano (e solo più avanti sindaco della città fabraterna).

RICORDARE

“Nella mia attività lavorativa – ha ricordato ai tanti presenti Maurizio Cerroni –  e anche come amministratore pubblico, al consiglio Provinciale e nelle diverse istituzioni elettive, ho cercato sempre di sensibilizzare e promuovere, con la mia associazione AMNIL, iniziative mirate alla formazione e alla prevenzione degli infortuni sul lavoro. I morti sul lavoro, dei veri martiri, vanno ricordati, onorati e va portato rispetto verso tutte le famiglie colpite nel corso dei decenni da una tanto grave forma di lutto. Alcuni anni fa, nel 1996, questi motivi portarono l’amministrazione comunale di Ceccano (nel periodo nel quale ero sindaco), a realizzare un monumento dedicato a tutti i martiri del lavoro. Il monumento fu inaugurato alla presenza di tante autorità, ma il mio ricordo va alle centinaia di persone che parteciparono. Qualche anno dopo, nel dicembre del 2007, l’allora sindaco Antonio Ciotoli pose una lapide di marmo con i nomi dei caduti.

Ancora è vivissimo in me quel ricordo. Conservo gelosamente la medaglia, importante riconoscimento in memoria dei caduti sul lavoro, e la pergamena che venne consegnata nelle mani di mia madre, così come alle altre vedove e agli orfani dei caduti sul lavoro. Davvero tante sono state le iniziative a cui si è dato vita su questo tema, a partire da quelle promosse dal già sindaco di Ceccano Angelino Loffredi, con la posa dei garofani rossi sotto la stele di marmo nella ricorrenza del 1 maggio. Però, andrebbe ricordato a tutti che la Giornata Nazionale vittime sul lavoro va celebrata, ricordata civilmente da parte dei Comuni, Province, Regioni, nella data del 9 ottobre. Purtroppo, in molti casi non si ricorda il necessario rispetto che meritano tutte le vittime del lavoro. Non ricordare è una grave colpa, visto che il fenomeno è ancora dolorosamente presente e le morti sul lavoro sono costantemente in crescita. Il sindacato e le istituzioni devono combattere, impegnarsi, denunciare, investire sui controlli, obbligando le imprese ad investire sulla sicurezza e la salute delle persone sul lavoro”.

Nell’iniziativa della Cgil provinciale a Ceccano, però, Cerroni ha colto molto: “Intanto a nome della mia famiglia, e insieme alle mie sorelle Pina e Rosa, voglio rivolgere un ringraziamento di vero cuore alla Cgil provinciale di Frosinone per l’iniziativa promossa in ricordo di nostro padre. In questi lunghi anni ho avuto la possibilità di incontrare tante persone, compagni di lavoro che avevano conosciuto mio padre, e da tutti ho avuto il riscontro che era un gran lavoratore e una persona buona. Questo è un ricordo che noi, figli e parenti, preserviamo. Nostro padre è stata una persona buona e rispettata. Mio padre, nato in una famiglia di 4 fratelli e 3 sorelle, in una famiglia contadina, figlio di Giuseppe e Angela Loffredi ha poi sposato mia madre, Masi Teresa, ed è stato padre di tre figli, Giuseppina, Maurizio e Rosa. Mio padre, come gli altri fratelli, ha avuto la forza di cambiare. Prima di tutto la loro condizione. E Roma è stata una grande occasione. Certo era duro fare il pendolare, ma lì c’era lavoro. E questa è la storia comune di migliaia di ceccanesi, il fenomeno del pendolarismo, verso la capitale.

Iniziò a lavorare con l’impresa elettrica SCAC che operava tra il Molise e l’Abruzzo subito dopo la guerra, occupandosi della costruzione di linee elettriche palificazione, elettrodotti. Insomma, lui e i suoi colleghi erano uomini che lavorano a decine metri di altezza dal terreno, andando in alto con grandi staffe ai piedi, come angeli, buttando le spalle nel vuoto e alzano le mani in cielo. Un lavoro speciale. Ancora oggi se penso a mio padre continuo a vedere così, in alto su i grandi tralicci, spalle nel vuoto e mani verso il cielo; lì da solo, lo immagino felice e sereno, libero. In seguito venne assunto dalla S. R. E. L. Società Romana Elettrica Lazio. Nel corso della sua vita ha partecipato a tanti scioperi per la Nazionalizzazione Elettrica. Finalmente, nel 1963 nacque Enel. Nello stesso anno venne assunto in questa neonata azienda statale Enel. Pendolare per quasi tutta la vita nella città di Roma. Lui, vissuto in una famiglia contadina socialista e antifascista, esternava liberamente le sue idee e quando serviva sottolineava il fatto che lui votava per il Partito Comunista Italiano, manifestando orgogliosamente la sua iscrizione e adesione al sindacato Cgil. Molti ricordi mi tornano alla mente dai suoi racconti di lotte, di scioperi, di fatica, di lavoro e nuove conquiste. Ancora, parlava spesso di sindacato e di quei sindacalisti che arrivano sul posto di lavoro nella pausa pranzo e condividevano “pane e companatico”, in particolare modo ricordava di quel sindacalista comunista, detto ‘il rosso’ per il colore dei suoi capelli: Paolo Ciofi. Quindi, mio padre fu trasferito a Frosinone nel 1971 presso Enel Zona di Frosinone”. L’8 maggio del 1972, come detto, la tragedia. “E’ vivo in me un ricordo indelebile, quello dei suoi funerali nella Chiesa di Santa Maria a Fiume, con la bara uscita dalla chiesa e portata in spalla dai tanti colleghi di lavoro, con il corteo funebre che attraversò tutta la città di Ceccano sino al cimitero. La storia di mio padre è la storia di tanti operai che alzavano la mattina per andare a lavoro e non hanno fatto più ritorno. Se un giorno, in qualsiasi luogo, qualcuno si ricorda di ‘loro’ è una cosa buona e giusta. Ricordare i martiri del lavoro è anche un monito verso tutti, perché non si può morire di lavoro.

C’è una poesia bella e struggente di Pablo Neruda che mi torna spesso alla mente:

<<Il Padre….

la mia vita sotto il sole trema e si allunga….

Padre, i tuoi dolci occhi non possono nulla,

come nulla poterono le stelle.

Padre

Ascolterò nella notte le tue parole! >>

SCEGLIERE

Nell’intervento dell’altro ex sindaco, Angelino Loffredi, presente alla cerimonia della CGIL, la scelta di campo che solo la politica può intraprendere:

<<Oggi ci vediamo per ricordare un nostro concittadino, Luigi Cerroni, morto sul lavoro e tanti altri che continuano a perdere la vita per lo stesso motivo con un ritmo di tre al giorno: mancanza di prevenzione e di controllo sui posti di lavoro. (…)

Era il lunedì delle elezioni politiche del 1972, in quel periodo ero segretario della sezione comunista di Ceccano, pertanto ero impegnato e completamente assorbito a seguire lo svolgimento delle stesse nella mattinata ed a raccogliere i risultati elettorali nel pomeriggio e nella sera”.

Sì, il 1972, anno dell’arrivo a Frosinone di Enrico Berlinguer, anno di quel mitico ed indimenticabile 1° maggio in cui un lungo corteo di macchine e motociclette partite da Ceccano, dopo un lungo giro nella Valle dell’Amaseno lo accompagnò dalla Palombara fin sulla Piazza del comune di Frosinone, ove tenne il più partecipato comizio dell’epoca repubblicana. Quello è anche il giorno in cui conobbi Maurizio in sella alla sua fiammante motocicletta.

In una nota che ho letto in questi giorni, riportata su uno dei mie quaderni, che insieme ai tanti manoscritti di comizi e interventi pronunciati negli ultimi 50 anni, gelosamente conservo, ho trovato questo appunto; si tratta di poche righe ma significative. “Alle elezione del 1972 la sezione dove il PCI ha avuto più voti è la settima, quella delle Celleta, il 61%, proprio la sezione dove aveva votato Luigi. Fra i tanti sicuramente c’era anche il suo”.

Alla domanda: dove eri il giorno del funerale di Luigi Cerroni quando venne portato a spalla dai suoi colleghi di lavoro dalla chiesa di Santa Maria a Fiume, attraversando tutto il paese, fino al Cimitero? Posso rispondere: in piazza, occasionalmente. Furono Pasquale Micheli, un compagno tuttora vivente e Francesco Del Brocco, successivamente consigliere comunale, a raccontarmi dell’accaduto”.

Ricordo che in quel momento collegai Luigi Cerroni ad un mio parente, Luigi Loffredi, operaio dell’Enel, scomparso un anno prima, anch’egli vittima di un incidente sul lavoro e che aveva terminato i suoi giorni su una sedia a rotelle. Era un collegamento legato solamente dalla commiserazione e dalla pietà. Autocriticamente, confesso, a tanti anni di distanza, non pensai alla necessità che si dovesse aprire una lotta contro gli omicidi sul lavoro. Noi comunisti a Ceccano eravamo concentrati e continuamente impegnati per assicurare i servizi civili nelle campagne: strade bitumate, potenziamento dell’energia elettrica, estensione del servizio idrico ecc. ecc, inoltre a portare il sindacato nelle fabbriche, a batterci per l’occupazione e per dare sostegno al popolo vietnamita. Non avevamo messo al centro una iniziativa contro gli incidenti nei posti di lavoro. Tale tema è diventato importante solo negli anni successivi.

Luigi Cerroni, scomparso a soli 50 anni ricordo che aveva lavorato con l’impresa SCAC sin dal dopoguerra, un’impresa addetta alla palificazione degli elettrodotti. Successivamente aveva lavorato per la Romana elettricità e partecipato agli scioperi per la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Dopo il 1963 divenne dipendente dell’Enel. Era iscritto alla CGIl ed orgogliosamente affermava di votare per il PCI. Fino al 1971 Luigi ha fatto il pendolare. Solo da questo periodo incomincia a lavorare a Frosinone. Possiamo affermare senza sbagliare che aveva fatto una vita da pendolare>>.

PENDOLARI DEL LAVORO

<<A Ceccano – continua Loffredi – sappiamo che parlare dei pendolari vuol dire proporre non una storia ma tante storie, aspramente vissute, ricche e partecipate. Non dimentichiamo che nei giardini della stazione ferroviaria esiste addirittura il Monumento al Pendolare, realizzato dall’artista iraniano, Reza Olia, durante il periodo in cui Cerroni era sindaco. Per tutti gli anni sessanta e anche successivamente a Ceccano ogni giorno oltre mille operai partivano per andare a lavorare a Colleferro, Castellaccio e Roma. Raggiungevano la stazione ferroviaria a piedi o in bicicletta, con la pioggia, con il vento, con la neve. Viaggiavano su treni scomodi di legno, mossi a carbone, freddi d’inverno e torridi di estate. Più di qualche volta in risposta ai disagi subiti, ad un segnale convenuto i pendolari bloccavano il treno, aspettavano la polizia e l’arrivo dei giornalisti, spiegavano i motivi della fermata, poi nel momento in cui capivano che la notizia il giorno dopo sarebbe stata messa in circolazione, ottenendo così un clamore nazionale, ritornavano sui vagoni tranquilli e composti.

I pendolari hanno rappresentano il popolo in lotta, sono occupati prevalentemente nell’edilizia. Quando i metalmeccanici nazionalmente sono in crisi e per tanto tempo pagano la sconfitta avvenuta alla Fiat nel 1955, sono gli edili, quindi i pendolari ceccanesi, a scontrarsi con la polizia a Piazza Colonna, a battersi e conquistare il miglior contratto di lavoro, quello che eliminava il cottimo ed elevava la remunerazione salariale..

Sono i pendolari che durante lo sciopero del 1962 – quando Luigi Mastrogiacomo venne ucciso -, durante il mese di maggio si fermano tutte le sere avanti i cancelli della fabbrica a solidarizzare con gli operai del saponificio Annunziata in lotta, portando loro denaro per proseguire lo sciopero. Sono i pendolari quindi la forza politica più consapevole ed avanzata, quella che nei cantieri ascolta e discute con i sindacalisti.

Sono i pendolari che acquistano prima del ritorno a casa il giornale Paese Sera e, sempre sul treno, ne commentano le notizie, trasformando il viaggio in un seminario di apprendimento e di lotta politica. Sì, Luigi faceva parte di questo esercito, di tale avanguardia. Costoro conoscono cosa sia il conflitto, senza averlo studiato nelle Università, sanno che ogni obiettivo non si conquista senza lotta e senza unità. Senza questo esteso, consapevole strato sociale, caro Maurizio noi non avremmo avuto i nostri successi elettorali, non ci sarebbe stato un partito comunista che arrivò ad ottenere a Ceccano il 48% di voti. Quando andavamo nelle contrade a discutere ad organizzare le piattaforme di lotta chi partecipava già sapeva che non esisteva conquista senza lotta e senza unità. Sapeva che, come si dice adesso, doveva metterci la faccia. Era la strada che ci era stata spianata dall’esperienza politica e sindacale dei pendolari.

In questi giorni, pensando a Luigi Cerroni ho avuto un grande tarlo fra miei pensieri, più volte mi sono chiesto: possibile che un uomo che afferma di essere comunista che, come mi raccontava mio padre, fu in grado di contestare Checco Battista durante la campagna elettorale della primavera del 1956, lo stesso giorno della festa di battesimo del figlio Maurizio, possibile mi sono lungamente chiesto che questo uomo non sia mai stato iscritto al PCI?

E’ anche vero che la differenza fra iscritti e voti è stata sempre sproporzionata. Tantissimi voti ma pochi iscritti. Nel 1976, per esempio 4.000 voti ma solo 600 iscritti. Comunque mi son messo a trovare nei vecchi registri degli iscritti. Dagli anni 50 andando all’indietro fino all’immediato dopoguerra. Per qualche giorno non ho trovato niente di niente fino a quando , quasi sfiduciato, sono arrivato al Registro del 1944. Su questo ho trovato iscritto, con tanta trepidazione, Luigi Cerroni, bracciante, di Giuseppe,residente in Celleta, numero 10. Risulta essere uno dei primi iscritti: il 2 agosto del 1944.

Quando a Ceccano erano stati abbattuti i ponti sul Sacco e sulla ferrovia e non esistevano collegamenti fra le due realtà cittadine, quando proprio qui attorno, presso la Piazza, San Nicola, San Pietro e Borgo Pisciarello esisteva distruzione, si avvertiva sofferenza e miseria un nucleo di comunisti si univa, si organizzava e provava generosamente di rispondere alle esigenze della città. Quando un giorno chiesi a mio padre perché in quell’estate del quarantaquattro si iscrisse al partito comunista mi rispose “perché se i comunisti avevano vinto in Russia si poteva vincere anche in Italia”. Era la speranza di un radicale cambiamento che muoveva le coscienze e l’agire degli uomini. Tanti anni più tardi Berlinguer interpretando quelle eccezionali speranze la definì come la spinta propulsiva nata dalla Rivoluzione d’Ottobre. E di questa esperienza, pur esaminando e rilevando qualche errore che nel corso degli anni possa esserci stato, ne dovremo essere sempre orgogliosi e portatori.

Mi sento di terminare questo intervento con una necessaria considerazione: se i partiti per tanti anni hanno saputo ben rappresentare il lavoro realizzando una Costituzione che sin dall’articolo uno faceva riferimento al lavoro stesso; se hanno costruito uno stato sociale e nel 1978 una riforma sanitaria la migliore del mondo e se oggi purtroppo sono divisi e ancor più sono scalabili, corruttibili, fortemente condizionati da forze economiche predatorie l’unica forza d’opposizione rimane il sindacato. Prima fra tutte la CGIL, organizzazione che ancor oggi a Ceccano ed in Italia dimostra di stare dalla parte dei lavoratori. Teniamone conto>>.

Ceccano è questo – e molto, tanto, tanto di più – e se nei giorni scorsi qualcuno abbia scelto di tornare a mettere una lente d’ingrandimento sulla “questione lavoro” non è certo un fatto isolato. Merita di essere guardato come un segno del movimento politico che la città non ha mai smesso di alimentare. Qualcuno obietterà che se ne parla sempre nelle stesse stanze, sempre tra gli stessi, sempre nelle stesse modalità. Eppure è lì, in quella dimensione, seppur ormai logora e ridotta a brandelli, che riprende il dibattito sospeso e dove anche le giovani generazioni di politici possono provare a guardare, per scegliere di prenderne le distanze, o di farne un riferimento. Perché, forse, una giusta sintesi è quella citazione pronunciata nella giornata dedicata al martire del lavoro Luigi Cerroni dal figlio Maurizio: <<Recita una canzone di De Gregori: Noi siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano>>.

LA SCOMMESSA DELLA BELLEZZA

In evidenza

Parlare, riflettere, provare a dare un’idea. Lo facciamo spesso, lo fa il mondo intero e lo si fa guardando ai tanti problemi che ogni giorno ci tengono impegnati. E se provassimo a farlo guardando a quei problemi, alle ansie, ai disagi in maniera diversa? Se provassimo a spostare l’obiettivo lontano dai puntini neri allargando l’immagine all’insieme, al grande foglio?

Deve essersi fatto queste domande il filosofo Filippo Cannizzo all’indomani della serata di presentazione del suo libro Lacrime di gentilezza. Sulle tracce della bellezza per una (ri) generazione umana la scorsa estate in piazza a Ceccano, perché da lì è nata l’idea di non disperdere quell’intuizione e da lì ha preso forma l’iniziativa trasformata in un forum dal titolo provocatorio: ‘Ceccano capitale della bellezza’. Con l’occhio puntato alla linea guida dell’Agenda 2030.

Cannizzo ha trovato subito un giovane alleato, Adriano Papetti e insieme hanno promosso l’affollato incontro che sabato scorso si è tenuto presso l’ex cinema Italia dove molti ‘interpreti’ hanno accolto l’invito a partecipare per dare conto del loro sguardo alla ‘bellezza’.  E forse, accettando, non tutti avevano compreso la volontà precisa dei promotori ma il risultato finale ha lasciato un bel po’ di argomenti sul tavolo come un cassetto che si (ri)apre dopo un lungo periodo e da cui poter recuperare parole-chiave da cui farsi guidare.

LA SEMPLICITÀ –  Gianluca Popolla ha dato il via al pomeriggio e con decisione è andato dritto al punto: con l’associazione Cultores Artium il sogno di un giovane Andrea Selvini si è fatto realtà e da qualche anno sul territorio regala a turisti di ogni dove che arrivano al maestoso Castello l’affascinante storia dei Conti de’ Ceccano. L’azione culturale è degna di menzione per i risultati raggiunti e consolidati dal nulla ad oggi.

L’UMANITÀ – Lorenzo Pelloni ha regalato lacrime e una lezione umana di alto profilo con il viaggio che lui affronta da volontario (e presidente nazionale dell’associazione che guida) di clowterapia tra i reparti pediatrici degli ospedali del territorio e i sorrisi degli anziani che incontra con il suo gruppo nelle case di riposo. Un racconto senza filtri che ha commosso per

L’INCONTRO – Un sindaco illuminato e un’associazione teatrale. Sono gli ingredienti del progetto che l’attrice e regista Anna Mingarelli insieme alla sua compagnia teatrale sta portando avanti in provincia di Rieti. Così il comune di Rocca Sinibalda, 600 residenti, è riuscito a portare l’Europa a casa, proprio in casa degli abitanti disponibili all’accoglienza degli stranieri, con progetti di scambio culturale internazionale che renderà il piccolo centro fulcro di iniziative pluriennali. L’integrazione non è utopia.

LA POLITICA – Un ex sindaco Maurizio Cerroni ancora una volta proiettato verso il futuro, che non dimentica di citare l’anima anarchica di una città, Ceccano, che ha sempre tirato fuori le carte giuste e che ha già dimostrato di saper fare cultura, se vuole. Un ex sindaco che, a proposito di ‘Contea’ rivendica la paternità della ricerca storica che negli anni ’90 l’hanno portato, insieme ad Edoardo Papetti, alla scoperta dei de’ Ceccano e all’impresa amministrativa dell’acquisto dei due castelli. Primo a credere che dietro un’idea può nascere e crescere sviluppo. 

IL RICORDO – La bellezza di una città lontana ma ancora viva nella mente di chi, come il consigliere comunale di Frosinone Armando Papetti, ha voluto condividere con i presenti all’ex cinema Italia. Ceccanese per via di madre, Papetti ha riportato a galla i momenti di un’infanzia spensierata, vissuta in un ambiente semplice, lungo le sponde di un fiume vivibile con tanti protagonisti di quel momento storico.

L’ANALISI LUCIDA – Porta la firma del sociologo Maurizio Lozzi, fresco di stampa con il suo nuovo libro Un SACCO di silenzi: l’agonia di un fiume lasciato morire, la fotografia del momento e l’invito ad agire senza perdere ulteriore tempo: serve che tutti si facciano artefici del cambiamento!

L’ARTE – Intorno agli interpreti del pomeriggio dedicato alla ‘bellezza’ le opere della pittrice Fabiana Fioretti. Con il garbo di chi sa parlare attraverso i colori, di chi sa ascoltare, bella e gentile anche nell’espressione mentre spiega le sue proiezioni sulla tela, ha tirato fuori il suo messaggio elegante. Il punto di vista dall’interno.

I GIOVANI – Le grandi rivoluzioni passano per i più giovani. Per gli ideali che soprattutto i giovani non sono disposti a barattare e per i quali vale sempre la pena battersi. Ceccano è la città che più di molte ha saputo imparare dai giovani e dal mondo delle associazioni: lo sanno bene i ragazzi di Progresso Fabraterno che nell’ultimo periodo hanno dettato la linea e hanno mobilitato l’attenzione dell’opinione pubblica accanto a gruppi civici e partiti. Francesco Compagnone ha raccontato la voglia di cambiare condivisa con il numeroso gruppo riunito da Francesco Ruggero e raccogliendo l’invito alla bellezza ha lanciato, a sua volta, l’appello all’ascolto, all’unità d’intenti.

LE DONNE – Lo spazio che si è ripresa Elisa Tiberia senza la necessità di pronunciare la parola  ‘donna’. Il ruolo dell’altro punto di vista che la società ceccanese, fino a poco tempo fa, ha sempre dimostrato di poter affidare a chi, semplicemente, con un proprio contributo sa di poter partecipare al miglioramento. Una chiamata all’azione cui è giusto farsi trovare pronti anche in un momento difficile come quello che viviamo. Perché esserci conta di più.

LA SCUOLA – Dal prof. Alessandro Liburdi la serena riflessione di chi vive la fortuna di farsi travolgere dalla bellezza degli studenti, oggi accanto agli oltre 800 iscritti dell’Istituto Alberghiero di Ceccano (ma anche come prolifico scrittore con all’attivo diverse ‘belle’ pubblicazioni, ultimo in ordine di tempo il racconto Il trio degli anelli, per l’antologia Ciociari per sempre, Edizioni della Sera, 2022, a cura di Simona Riccardi) e che, allo stesso tempo, sa di poter iniziare da loro a coltivare la cultura del bello.

I BENI COMUNI – Nel discorso di Gino de Matteo una indicazione precisa: osservare in maniera attenta lo spazio di azione all’interno del quale interagire. I beni comuni che vale la pena di eleggere per la nostra cura. E lo dice raccontando il piacere di osservare una città che ama la questione politica e che ne sa fare impegno civico.

FARE ANCORA – Dopo aver già fatto. Se la si vede come l’ex assessore Salvatore Raoni che ai presenti ha voluto ricordare i punti alti della sua amministrazione, in particolare con la cultura, i progetti sul cinema e quelli del teatro, tutti incentrati sulla struttura dell’Antares. Un sistema operativo, quello dell’ex amministratore, in grado di concentrare su Ceccano un movimento culturale di qualità.

LA CITTÀ – La città che vorrebbe la consigliera comunale Emanuela Piroli e quella che ogni giorno vive a contatto con le persone e confrontandosi con loro. Da consigliera comunale, da medico, per Emanuela Piroli l’approccio è concreto e si nutre proprio dell’umanità che troppo spesso dimentichiamo.

IL TEMPO – Il collante che ha unito i partecipanti all’iniziativa promossa da Filippo Cannizzo è il tempo e non è certo un caso che l’osservazione sia arrivata da Alessandro Ciotoli, presidente dell’associazione IndieGesta e direttore artistico del Dieciminuti Film Festival, da venti anni alla guida di un movimento culturale finito sotto gli occhi di tutti, ben oltre i confini di Ceccano. Il tempo che decidiamo di dedicare agli altri, pensando ad una città migliore, condividendo gli aspetti del bello individuale per trasformarlo in bellezza.

LA BELLEZZA – Il senso della giornata nella conclusione di Filippo Cannizzo: fare comunità di chi desidera Ceccano come la città dei bambini e dell’ambiente,  la città dei diritti e dell’integrazione, la città dello sport e delle fragilità, la città dei giovani e del lavoro, la città della cultura e delle persone di ogni età. Perché Ceccano, anche seguendo le indicazioni dell’Agenda 2030, può immaginarsi città della bellezza e diventarlo in pochi anni. Infatti, la bellezza e la gentilezza possono rappresentare un investimento sul futuro, quello di un cambiamento all’insegna del benessere collettivo e degli individui, del miglioramento della qualità della vita, anche per questa città.

Pensando alla bellezza che verrà un nuovo appuntamento è stato già proposto dal gruppo per gennaio prossimo.

IL GENIO DI CLAM, LA FORZA ESPRESSIVA DI BICE

In piazza San Giovanni il Festival Francesco Alviti regala la brillante performance firmata da Beatrice Mancini e intitolata al padre Claudio

Quando l’avvocato Claudio Mancini mi mostrava con orgoglio le sue composizioni pensavo sempre che quelle brillanti espressioni meritassero un pubblico molto più vasto della dimensione provinciale in cui vivevamo entrambi. Ho conosciuto l’avvocato Mancini, Clam come lo ricordano tutti, fondatore dell’Inclito Rompi Club, quando la sua attività letteraria era diventata puro esercizio intellettuale e, lo ammetto, per anni ho sperato che quegli scritti non finissero nel dimenticatoio delle voci inascoltate. C’è voluta un’altra Mancini alla fine, sua figlia Beatrice, regista e sceneggiatrice teatrale per riportare alla giusta dimensione lo straordinario talento espressivo contenuto in quelle strofe.

Nell’extra del Festival Francesco Alviti la performance che Beatrice Mancini ha regalato alla Ceccano di suo padre e della sua gloriosa famiglia, ha fatto brillare il patrimonio creativo di Clam, tirando fuori un inedito spazio di arte pura. Nel giorno del compleanno di Claudio Mancini, il 25 luglio scorso. Roba da incorniciare e che provo a raccontare qui per chi avesse perso l’occasione di uno spettacolo senza precedenti nel quale si sono esibiti anche Francesco Lombardi (al piano) e come autore del ‘Clam Theme’, Massimiliano Malizia (alla tromba), Mirko Chiucchiolo (al trombone), The Monkey Brown Raffaele Bove (al contrabbasso), Luca Quattrociocchi (alla batteria) e con la voce Fabrizio Parenti.

La serata ‘Ricomincio da Clam – Chi si ferma è perduto’ ha avuto un promotore, quel geniaccio di Pietro Alviti che insieme a sua moglie Vittoria D’Annibale si sono resi conto per primi della potenza dell’incontro tra l’ingegno del padre e l’espressività della figlia. Perché se al primo vanno riconosciuti i meriti di composizioni ardite – basta citare “l’omaggio” a Draghi che l’autore ha saputo proiettare nel futuro conservandolo oltre la sua stessa esistenza – è, di certo, nella performance della seconda che quelle ironiche prese di posizione sono diventate pugni in faccia di amara attualità. Schiaffi ad un mondo sempre meno attento al passato, alla storia, agli errori che abbiamo già ripetuto senza renderci conto di aver imboccato strade sempre più strette. Il tutto condito da spruzzate di satira, da sberleffi all’ultradecennale gestione amministrativa della sinistra nella sua Ceccano dove “si intitolano strade a sindacalisti sconosciuti e si dimenticano uomini illustri come Giuseppe Mazzini”. In quei suoi scritti non c’è trucco e non si hanno dubbi su quale sia stata la sua vocazione politica perché Clam era così: una penna tagliente, maestro di satira e anche testimone di un lungo corso storico dell’Italia che la militanza politica da democristiano della prima ora gli aveva permesso di attraversare.

E poi la poesia… In quel dialogo ideale che Bice (così amava chiamarla Clam) ha messo in scena con la voce fuori campo del padre, richiamato ai doveri di genitore, ritrovato nei viaggi condivisi, ammirato per la sua poliedrica attività intellettuale. Un po’ uguali, un po’ diversi. Silenzio e occhi lucidi in piazza San Giovanni a quel punto perché in quel breve scambio di parole Bice ha saputo toccare le corde del sentimento.

Brava Bice! Ci hai emozionato e grazie per aver regalato a Ceccano una prima assoluta. Vai avanti e segui con coraggio la strada che ha indicato Clam perché “Chi si ferma è perduto!”.

Roma Capitale omaggia l’avvocato Claudio Mancini

C’è un tempo per vivere e c’è un tempo per farsi ricordare. L’avvocato Claudio Mancini lo sapeva bene e, forse, sapeva anche che a qualche anno dalla sua scomparsa le sue attività in vita sarebbero state ricordate a livello istituzionale.

Giornalista, avvocato Toga d’Oro, docente. Erede di una lunga e prestigiosa vicenda familiare divisa tra la città di Ceccano e il cuore della Capitale. E anche politico attivo, tra i responsabili del movimento giovanile della Democrazia Cristiana, a livello capitolino, in un’Italia ormai lontana ma che tanto ha saputo fare per mettersi in mostra nel mondo.

Di Claudio Mancini, l’avvocato e prof. Claudio Mancini, si può raccontare da più punti di vista, soffermandoci nella prima parte della sua vita, quella degli anni della formazione a Roma o, attraversando l’esperienza del boom economico, fino alla incisiva opera di ispiratore e principale promotore della nascita dell’ex Istituto tecnico commerciale (oggi ITE) nella sua Ceccano. Solo per citare alcune delle ‘battaglie’ da lui portate avanti con l’obiettivo di lasciare un segno.

L’avvocato Claudio Mancini ci ha lasciato nell’ottobre del 2018 (https://spaziolibero.blog/tag/claudio-mancini/) ma la sua opera va pian piano istituzionalizzandosi, a ragione di un impegno civico che mai lo ha abbandonato nel corso della sua esistenza e che lo ha visto tra i pochi protagonisti di cambiamenti a favore della società ceccanese.

È di questi giorni, infatti, la notizia di una prossima iniziativa che sarà dedicata alla memoria dell’avvocato Claudio Mancini. Il Primo Municipio di Roma Capitale dedicherà il nuovo campo di basket del Liceo Ginnasio Statale Virgilio a ricordo dell’avvocato Mancini, un allievo dalle mille risorse intellettuali e ideatore di tanti spazi culturali (e non solo) diventati pilastri nell’offerta formativa del famoso liceo che ha avuto tra i molti allievi la scrittrice Elsa Morante, il regista premio Oscar Bernardo Bertolucci, il cantautore Francesco De Gregori e il regista Carlo Verdone agli esordi della sua carriera scolastica.

L’avvocato Claudio Mancini al liceo Virgilio ha firmato la direzione de ‘La Fronda’, giornale nel quale con un gruppetto di sfrontati liceali amava raccontare quegli anni di Storia d’Italia. Da qui prese il via la sua grande passione per la scrittura, la poesia e per il giornalismo. Al preside chiese un’aula per riunirsi con gli altri, studiare e confrontarsi, gettando le basi dell’associazione degli ex allievi che ancora oggi esiste.

È sempre degli anni del ‘Virgilio’ la vocazione che lo seguirà anche oltre l’età del Liceo, per lo sport, in particolare la pallacanestro e il baseball. Da universitario continuò a gestire il circolo degli studenti organizzando i campionati in cui militavano la squadre di basket e baseball del Virgilio.

Da cronista raccontò le vicende sportive (nel frattempo era anche diventato corrispondente della cronaca giudiziaria del quotidiano Il Tempo di Roma) e qualche anno dopo, a Ceccano, promosse la nascita di una squadra di baseball, fondata da Pinetto Bonanni, che per molti anni è riuscita a militare nei campionati italiani.

Di quell’esperienza romana Mancini mantenne sempre forti legami e amicizie durate tutta la sua vita e soprattutto la voglia di poter ricreare quell’atmosfera studentesca anche a vantaggio degli studenti della provincia. Fino alla fondazione dell’Istituto tecnico commerciale, la prima scuola superiore che nasceva nella città di Ceccano grazie all’intraprendenza dell’avvocato Claudio Mancini.

Il prossimo settembre una targa intitolata all’avvocato Claudio Mancini sarà scoperta in una cerimonia alla presenza di sua figlia Beatrice; quella targa campeggerà nel cuore di Roma ricordandoci di poterci sentire, come suoi conterranei, un pizzico orgogliosi. 

Siamo il distretto del rifiuto?

In evidenza

È di questi giorni la discussione sulla possibilità di veder nascere un biodigestore, impianto di lavorazione di rifiuti raccolti da ambienti domestici, nella zona industriale tra Frosinone e Ceccano. Le posizioni di associazioni, mediche e ambientaliste, sono tanto agguerrite quanto distanti e abbiamo capito che sull’argomento non esiste, e non esisterà, una linea comune. Da un lato i medici che vedono la nuova impiantistica come il fumo agli occhi perché inserito in un territorio che, e su questo non crediamo ci siano dubbi, già soffre e combatte per livelli di inquinamento tra i più alti in Italia, dall’altro gli ambientalisti proiettati in un futuro roseo che di impianti per il trattamento di rifiuti come quello ne include molti altri e diversificati.

Sono un’ambientalista convinta e lo sarò sempre perché nell’inquinata Valle del Sacco sono nata e vivo. Sono un’ambientalista convinta perché  gli ultimi venti anni della Valle del Sacco li ho osservati e raccontati da giornalista. Da una città, Ceccano, che gareggia con Frosinone solo per i livelli stratosferici di inquinamento.

Il dibattito che si vuole animare è vecchio e certamente poco utile. Hanno già deciso. Ma non ce lo dicono. Come non ci hanno detto di aver sancito la vocazione della provincia di Frosinone a terra dei rifiuti. Siamo noi gli abitanti del Centro Italia scelti dalle direttive governative per iniziare a definire i programmi di sviluppo da qui ai prossimi decenni. Siamo noi quelli scelti per trasformarci in distretto del rifiuto. Siamo noi quelli che dopo la desertificazione industriale dell’ex Cassa del Mezzogiorno oggi siamo chiamati a vedercela da soli con un bel pacchetto di SIN (i famigerati siti di interesse nazionale), aree che riescono a produrre solo decreti di interdizione per ogni genere di attività e che nell’ultimo ventennio ci hanno indicato con l’evidenziatore come territorio depresso e abbandonato. Con buona pace dei milioni di euro stanziati a più riprese nelle fasi di emergenza ma mai arrivati per trasformare in fatti quanto scritto nero su bianco. La prima emergenza della Valle del Sacco ha mandato in fumo 11 milioni di euro con un unico risultato: zero interventi e addirittura perimetri da ridefinire (con la nuova CARATTERIZZAZIONE).

Ora, di fronte ad uno scenario così devastante, davvero questa popolazione dovrebbe credere che un impianto biodigestore (insieme a quanti altri?) sarebbe il primo passo verso un futuro migliore? Chi ce lo assicura? Quali garanzie si offrono ai cittadini? Perché questi cittadini dovrebbero fidarsi? Quali sarebbero gli organi deputati a controlli e verifiche periodiche di certificazioni e autorizzazioni?

Il dibattito sembra essere solo un vecchio trucco, quello del volerla buttare nel caos quando in pochi hanno già deciso sulle nostre teste. Ogni discussione può considerarsi utile quando gli attori che la animano si misurano sullo stesso piano. Mettere medici contro ambientalisti è solo un modo per lasciarci l’illusione che ci siano margini per decidere. Ma così non è visto che da un lato ci sono i numeri delle patologie che la popolazione sta affrontando in questo territorio devastato da anni di inquinamento delle acque, dei terreni e dell’aria – dati concreti che ogni famiglia, purtroppo, può verificare sulla pelle – e dall’altro le speranzose proiezioni degli ambientalisti che dalla loro tirano in ballo le realtà che in altre parti d’Italia raccontano di paradisi ecologici nati intorno ad impianti come quello che si vuole da noi. Ma le altre zone d’Italia, signori, non sono la valle del Sacco. Non esiste un’altra Valle del Sacco in Italia. È il contesto che fa la differenza.

Sono tanti i quesiti che restano senza risposta e che scattano la fotografia di una terra in sofferenza.

Perché nella nostra provincia ci sono sindaci che non riescono ad esercitare il loro ruolo di tutori della salute pubblica e non vengono ascoltati quando rifiutano di sottostare ai ricatti occupazionali che per decenni ci hanno portato a questa situazione?

Perché le associazioni ambientaliste non sono scese in campo quando quei sindaci li hanno chiamati in aiuto per opporsi all’ennesimo insediamento per il trattamento di rifiuti sul territorio?

Perché di fronte all’assenza del Registro dei Tumori (altro record per la nostra provincia: a Latina esiste da oltre 20 anni) che metterebbe in luce la verità sulla diffusione delle malattie, le associazioni ambientaliste restano in silenzio?

Perché il biodigestore risulta essere l’unica alternativa possibile per il nostro distretto? Perché non si parla mai di altro? Possibile che accanto ai distretti chimico e farmaceutico rimasti nella nostra provincia non si possa parlare di poli per la formazione, di trasformazione e recupero delle aree industriali che non guardino esclusivamente al settore dei rifiuti?

Bice Mancini, una grande ceccanese

Nella storia di Ceccano si nasconde tanto bene. Esempi di vite caratterizzate da
piene espressioni di generosità e inspiegabilmente rimaste nell’ombra per decenni.
Bice Mancini Fedele, benefattrice del santuario di Santa Maria a Fiume, incarna di
certo una delle figure di spicco quando si parla di opere e vite condotte al servizio
della collettività ceccanese. Da qualche giorno all’interno dell’antica chiesa di Santa
Maria a fiume si scorge un suo ritratto, un dipinto ad olio, donato dalla famiglia della
donna per ricordarne l’importante esempio di Fede e umanità.
La cerimonia che ha accompagnato la donazione del quadro è stata inserita nel
programma delle celebrazioni per il 75esimo anniversario del bombardamento del
santuario – Serata sulle Narrazioni – perché è soprattutto grazie a Bice Mancini Fedele
se oggi migliaia di fedeli (non solo ceccanesi) possono ritrovarsi in preghiera ai piedi
della statua della Madonna del fiume, nella chiesetta lungo le sponde del Sacco.
Ci fu Bice Mancini a capo del comitato che, insieme all’allora parroco don Vincenzo
Misserville (cui è intitolato il piazzale antistante il santuario), in soli 13 anni riuscì a
ricostruire la chiesa di Santa Maria a fiume, proponendo un intervento curato nei
dettagli e che permettesse di donare alla città un edificio identico a quello distrutto
dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale.
Una “manifestazione religiosa e culturale artistica nel ricordo della protagonista
della ricostruzione del nostro santuario” hanno spiegato i promotori dell’evento
nell’introduzione del carteggio curato dalla nipote Beatrice Mancini. Una donna
straordinaria, si direbbe oggi, che agli inizi del ‘900 vantava una laurea e che si era
distinta come interprete e traduttrice. Partecipò, in quest’ultima veste, alla prima
stesura italiana del romanzo “Piccole Donne” di Louisa May Alcott. Una donna di cultura che avrebbe potuto condurre una vita agiata e che, invece, decise di mettersi a disposizione del suo popolo promuovendo la ricostruzione del santuario e diventando esempio di Fede e devozione per la Vergine del fiume.
Come presidentessa dell’Azione Cattolica di Ceccano e Giuliano di Roma riuscì a
convincere tutti, vescovi e fedeli, della necessità di impegnarsi nella ricostruzione
del santuario. Lo testimoniano le parole di quanti in quegli anni ebbero modo di
avvicinarsi alla sua figura, affascinante e carismatica come solo quelle elette
riescono ad essere. Commoventi i profili emersi dai ricordi di Tommaso Bartoli, di
Giovanna Di Pofi e Severino Colapietro che ne hanno raccontato la grande bontà
d’animo e la profonda Fede cattolica.
Alla presenza delle autorità, in prima fila il parroco Padre Antonio Mannara e
l’assessore alla Cultura Stefano Gizzi, la serata ha permesso ai tanti intervenuti di
conoscere e apprezzare quanto di eccezionale sia riuscita a fare nei terribili anni del
dopoguerra Bice Mancini, attraverso la lettura di documenti originali tratti dalla
corrispondenza tra la ‘nobildonna’ e i vescovi mons. Leonetti e mons. Caminada, la
narrazione delle testimonianze dirette e i cenni storici. In un’atmosfera arricchita dal
violino del M° Daniel Myskiv, hanno partecipato all’iniziativa Giovanni Misseritti
(anche come collaboratore nella stesura dei testi), Alberta De Angelis, Valeria Bruni e Andrea Selvini, mentre le poesie della raccolta ‘Canti a Maria’ sono state
interpretate dall’attrice Anna Mingarelli. Qualche anno fa la pubblicazione delle
poesie scritte da Bice Fedele era stato un primo tentativo di omaggio alla
benefattrice di Santa Maria da parte del figlio, l’avvocato Claudio Mancini.
Nei ringraziamenti di padre Antonio “per l’importante e significativa opera svolta
dalla signora Bice a favore della comunità ceccanese tutta per il ripristino del nostro
santuario” e nel ritratto dell’assessore Gizzi “pensiamo a quanto possa essere stato
importante promuovere un impegno di vera Fede in un momento storico come
quello post bellico” il plauso ad un’iniziativa che la città di Ceccano doveva all’illustre
concittadina dopo anni di colpevole ritardo.

Atto Primo da… favola!

E’ tutto maledettamente vero. Stramaledettamente. Come uno schiaffo che ti arriva in faccia all’improvviso. E potremmo continuare all’infinito a scegliere metafore, paralleli, verbi, aggettivi, sinonimi e contrari, per descrivere l’ingegneristica maestria con cui Sara Silvestri e le Atto Primo, ancora una volta, sono riuscite a mettere in scena sul palco quello che tutti i giorni viviamo dentro. Senza riuscire a dire tutto dello spettacolo Non ci sarà più un’altra volta che ha chiuso la stagione teatrale all’Antares di Ceccano. Un ironico – ma anche amaro – lavoro di taglia e cuci sugli stereotipi che la società moderna è riuscita a costruire con le favole, le più belle, quelle a cui siamo e resteremo sempre legati. Attualizzare oggi quei ruoli – quello di indifese creature salavate dal protettivo cavaliere – sembra quasi un paradosso e Sara Silvestri è riuscita concentrando tutto sul quel dualismo che oggi – e per fortuna! – ci sta un po’ troppo scomodo. Perché, diciamocelo senza problemi, quel principe azzurro quanto lo abbiamo amato, desiderato, osannato e adorato… Quanto? Al punto da non riuscire a far altro che odiarlo per tutte le volte che, alla fine, non è riuscito a farci felici, ad adorarci e osannarci? Sara ci è riuscita a metterlo in un angolo, a tenerlo quasi due ore in silenzio mentre sfilavano Biancaneve, Cenerentola, la Bella Addormentata e quell’esagitata di Cappuccetto Rosso. Sara ci ha un po’ vendicato tutte, magari senza riuscirci completamente, perché lo ha costretto ad ascoltarci, come vorremmo averlo fatto almeno una volta nella vita. Della serie: ora ti siedi e mi ascolti! E da lì un fiume in piena. Con l’energia, l’animosità, l’incoerenza, in certi istanti, che solo le donne riescono a tirare fuori. Certo, alla fine ha vinto ancora lui, quell’antipatico del principe azzurro che continueremo a cercare nei secoli dei secoli. Ecco, Sara ci ha lasciato un paio di ore a riflettere, spezzando gli intermezzi con le faccende, con gli omaggi alla città, la sua città, che dimostra di amare e che lei sola riesce a raccontare così bene! Anche se proiettata nel fantastico mondo delle favole. Anche se alla fine non riusciremo a liberarci mai di quello str… del principe azzurro!

Di più non diremo dello spettacolo Non ci sarà più un’altra volta firmato e diretto da Sara Silvestri (giudice del tribunale delle favole), messo in scena sul palco dell’Antares con le Atto Primo Giovanna Casalese (Biancaneve), Manuela Casalese (Cappuccetto Rosso), Melissa Del Brocco (Bella Addormentata), Nicla Langiu (Cenerentola); con il principe azzurro Fabrizio Tanzini; e anche con il dietro le quinte assicurato da Eleonora De Angelis e Chiara Carlini. Non diremo perché quanti l’avessero perso e quanti volessero rivederlo avranno un’altra volta (questa sì) per poter ridere del modo di essere donne e uomini oggi, nella replica estiva che ci sarà a Castel Sindici.

Ceccano è bella! Ceccano è viva!

La Ceccano che amo è quella che una domenica di fine marzo mi ha emozionato in un inatteso concerto nel santuario di Santa Maria a Fiume. E’ stato facile accogliere l’invito di Donatella e Daniela perché il ricordo di Cesarina, la loro mamma scomparsa all’improvviso dieci anni fa, lo porto nel cuore come i tanti, tantissimi, che ne hanno conosciuto la profonda dolcezza e la purezza d’animo. Mentre entravo in chiesa ho iniziato a riflettere su queste due splendide future mamme (“sorelle da cui puoi aspettarti di tutto” ripete spesso il marito di Donatella, Alessandro) che si sono dimostrate il miglior lascito di Cesarina su questo mondo. Insieme le sorelle Aversa hanno pensato, studiato, promosso e coordinato un pomeriggio che ha allontanato dal dolore, accompagnando il pubblico in un meraviglioso viaggio tra musica, poesia, Fede e tanto Amore. “Durante questo concerto faremo un viaggio nelle emozioni diviso in tre parti: cominceremo riflettendo sul passato, sui ricordi, sull’amore; la seconda parte riguarderà invece la fiducia, la Fede in Dio e l’ultima parte parlerà della Vita, di quanto sia unica e preziosa e di quanto sia importante lottare sempre e non arrendersi mai.” L’hanno spiegato così, semplicemente, eppure quello che ne è venuto fuori ha spiazzato per l’eccezionale bellezza. Grazie alla collaborazione di professionisti e soprattutto “amici veri” che hanno scelto di appoggiare Donatella e Daniela “senza pensarci su due volte” – Stefano Giovannone, Fabrizio Belli, Daniela Lecce, Ilenia Bartolomucci, Francesco Mattacchione, Romeo Recchia e Cinzia Cristofanilli che ha prestato la sua voce -; grazie al sostegno che mai è mancato negli anni dal provinciale dei Padri Passionisti, padre Antonio Mannara, l’atmosfera in chiesa è diventata magia pura sulle note di Playing love (Ennio Morricone), Merry Christmas Mr. Lawrence (Ryuichi Sakamoto), Yesterday (Beatles), Wish you were here (Pink Floyd) e Sweet child o’ mine (Guns N’ Roses).

cesarina

Poi il ‘Messaggio di tenerezza’
Questa notte ho sognato che camminavo sulla sabbia accompagnato dal Signore,
e sullo schermo della notte rivedevo tutti i giorni della mia vita.
Per ogni giorno della vita passata,
apparivano sulla sabbia due orme: una mia e una del Signore.
Ma in alcuni tratti vedevo una sola orma
che coincideva con i giorni più difficili:
i giorni di maggior angustia, di maggior paura e di maggior dolore.
Allora ho detto: “Signore,
Tu avevi promesso che saresti stato con me, sempre,
e io ho accettato di vivere con te.
Allora perché mi hai lasciato solo
proprio nei momenti più difficili?”.
E lui mi ha risposto: “Figlio mio,
tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai:
i giorni in cui hai visto solo un’orma sulla sabbia,
sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio.

“Questo ‘Messaggio di Tenerezza’ era incorniciato e appeso su una parete della nostra casa. Un messaggio a cui Cesarina era molto legata, che parla di fiducia, di Amore e della Fede in Dio che è stata una parte fondamentale e molto importante della sua vita”.

Per arrivare al cielo, alle stelle, al Paradiso “da dove i nostri cari ci guidano e ci seguono”, Starlight (Muse), Nuovo Cinema Paradiso (Ennio Morricone), Counting stars (One Republic) e Starway to Heaven (Led Zeppelin).
Nel finale un inno alla vita: “Amate la vita, nonostante le brutte sorprese che può riservarci, è unica, è la sola che abbiamo e va vissuta al meglio. Dobbiamo vivere il doppio, anche per chi ci ha lasciato. Cesarina aveva riposto nel portafoglio un ritaglio di giornale che riportava un messaggio di Madre Teresa di Calcutta. Lo abbiamo trovato dopo la sua scomparsa e lo portiamo sempre nel cuore e stasera lo lasciamo a tutti voi a nome suo:

VIVI LA VITA
La vita è un’opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un’avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila.

Tra le note di New born (Muse), Don’t stop me now (Queen) e Viva la vida (Coldplay) l’introduzione alla parte più bella, quella dedicata alle mamme, le mamme come Cesarina, le mamme come Donatella e Daniela:

“La donna, quando partorisce, è nel dolore perché è venuta la sua ora: ma, quando ha dato alla luce il suo bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi ora siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia.”
Questa è la frase che abbiamo scelto 10 anni fa per il ricordino di Cesarina – hanno ricordato le sorelle Aversa – e mai come ora per noi è così importante visto che tra pochissimo diventeremo mamme. L’ultimo brano lo dedichiamo appunto a tutte le mamme: She (Aznavour). Nell’esecuzione si unirà a noi Cinzia Cristofanilli che canterà il testo della bellissima cover interpretata da Laura Pausini dal titolo ‘Uguale a lei’, una canzone che ognuno di noi questa sera può dedicare alla propria mamma, riflettendo sul grande valore di queste donne che ci amano incondizionatamente e ci guidano e ci sostengono fino al loro ultimo respiro. Grazie mamma.

Ci vuole coraggio per ritrovarsi a raccontare la propria mamma che non c’è più, ci vuole forza a raccogliere le parole preziose che raccontano i gesti quotidiani di una mamma che continua ad esserci attraverso quelle che molti, con superficialità, continuiamo a chiamare ‘coincidenze’. Donatella e Daniela – sostenute dal loro papà Mario e dai mariti Alessandro Urbani e Alessandro Moscato – hanno chiesto aiuto alla musica e il risultato che ne è venuto fuori è sbalorditivo. In un arco di tempo che è sembrato davvero troppo breve, interrotto solo dagli applausi andati avanti per ogni esecuzione e nel finale per diversi minuti, tutto ha fatto pensare al bello. Sono Donatella e Daniela il bello. E ancora di più lo sono le creature che portano in grembo e che avranno modo di sentirsi orgogliose di aver avuto una nonna tanto speciale.

(Auto)Ritratto di un grande Avvocato

L’avvocato Claudio Mancini è morto. Ieri mattina quando la figlia Beatrice mi ha scritto ho pensato che sarebbe stato giusto, ma non facile, provare a raccogliere in una nota ricordo tutto quello che nel tempo avevo apprezzato di questo simpatico ceccanese legato a Roma da una straordinaria storia culturale. Un personaggio, l’avvocato Mancini, di quelli che una volta arrivati a Ceccano ti segnalano subito perché pieno di curiosità da raccontare, di storie familiari da vantare, di geniali trovate culturali da esporre.

La prima volta che mi spiegò cos’era L’Inclito Rompiclub rimasi un po’ perplessa; non avevo ancora gli elementi necessari per capire il segreto del sodalizio che aveva voluto creare per tenere insieme menti brillanti dalle svariate vocazioni culturali, un ponte culturale tra Roma e Ceccano. Ma c’è qualcosa di più importante da evidenziare. Con L’Inclito Clam tentava di tutelare il tesoro cui teneva di più: le sue poesie in romanesco, componimenti che gli permettevano di raccontarsi e raccontare la vita. Sempre con il sorriso.

Ieri mattina quando ho iniziato a chiedermi come avrei potuto scriverne un ricordo non sapevo ancora che l’avvocato aveva pensato anche a questo e che scrivendo di se stesso deve essersi divertito come al solito.

La vita del prof. Avv. Toga d’Oro Claudio Mancini fu Enofilo. (CLAM)

Sin dal 1952 (cioè a 16 anni) lavora come corrispondente del settimanale STADIO SPORTIVO (diretto da Giovanni Vassallo) collabora a “IL QUOTIDIANO” (giornale quotidiano dell’Azione Cattolica) e lavora come commissario di campo nei campionati di calcio organizzati dal CSI (Centro Sportivo Italiano).

Nel 1953/1954 (quinto ginnasio e primo liceo) fonda e dirige il giornale del liceo Virgilio “LA FRONDA”.

Dal 1956 al 1962 è Presidente del circolo studentesco Virgilio (fondato nel 1952 da Rosa Jervolino) e della squadra di baseball del liceo Virgilio.

Nel 1958 collabora come redattore al settimanale “LA DESTRA” assieme a Francobaldo Chiocci giornalista de IL TEMPO e padre dell’attuale direttore Gianmarco Chiocci.

Dall’estate del 1958 per oltre un anno collabora come volontario alla pagina giudiziaria de “IL TEMPO”, allora curata da Guido Guidi poi presidente dell’ordine dei giornalisti, ma non viene assunto dai giornale che affida lo stesso incarico che lui espletava a un giornalista trasferito a Roma dalla redazione di Napoli: Marcello Lambertini che diventerà dopo qualche anno direttore de “IL TEMPO”.

Nel 1960 ricostituisce il movimento giovanile della sezione della Democrazia Cristiana di Ponte Parione (che ebbe tra i fondatori suo padre Enofilo), nella quale ricopre le cariche di delegato del movimento giovanile, delegato Libertas e vicesegretario della sezione, alla quale erano iscritti l’on. Giulio Andreotti, l’ex sindaco di Roma Rebecchini, il di lui figlio poi senatore Franco, il marchese Marcello Sacchetti poi assessore al Comune di Roma e successivamente presidente del prestigioso circolo S. Pietro (fondato da S.S. Pio IX); è anche eletto membro della componente giovanile del comitato romano della D.C..

Dal 1963 al 1964 dopo aver conseguito la laurea presta servizio militare presso l’ufficio stampa del Comando Regione Militare Centrale ai Parioli curando di persona la redazione del bollettino quotidiano ad uso del generale dello stesso Comando.

In Ceccano comincia a stabilirsi a fine 1964 per assistere l’anziana madre, desiderosa di vivere nel Palazzo Mancini i suoi ultimi anni.

Nel contempo inizia ad insegnare nelle scuole medie lingua francese e materie letterarie.

Dal 1968, conseguita l’abilitazione all’insegnamento di materie giuridiche ed economiche, insegna tali discipline negli istituti tecnici e professionali di Sora (Cesare Baronio), Cassino, Frosinone (ITGC Leonardo da Vinci, Geometri e Ragionieri), Ceccano (succursale dell’istituto frusinate Leonardo da Vinci). A Ceccano assume l’incarico di fiduciario del preside e poi vicepreside sempre rieletto dal collegio dei docenti e lo mantiene ininterrottamente per oltre un decennio. Nel contempo fa parte del consiglio di’istituto del Leonardo da Vinci nel quale risulta essere il primo eletto della componente docenti la quale comprendeva oltre 100 insegnanti, divisi nelle tre sedi di Frosinone, Ceccano e Ferentino.

Alla fine degli anni ’70 promuove e realizza la costituzione dell’Istituto Tecnico Commerciale di Ceccano che da succursale del Leonardo da Vinci di Frosinone diviene Istituto autonomo con proprio preside. Sempre rieletto anche nei consigli d’istituto resta vicepreside con tutti i capi d’istituto Nicola Gatto a Frosinone, Giallongo, Redivivo e De Filippis a Ceccano.

Può ritenersi a ragione il fondatore dell’ITC di Ceccano come possono attestare coloro che lo coadiuvarono fortemente in quella fatidica impresa: i prof. Arditi, Cristofaro, Don Boni, Fabi, Celenza ecc. i suoi alunni Cesare Gizzi, Luigi Colafrancesco, Antonio Donvito, Pietro Tiberia, Antonio Bovieri e i genitori di alunni quali Fernando Marini e Fulvio Diana, colleghi e tanti altri; per citare solo quelli di Ceccano. Comunemente si diceva che circa l’ITC di Ceccano, il prof. Mancini era “un’istituzione”.

Procuratore legale e avvocato dal 1971 dallo stesso anno ricopre l’incarico di vice conciliatore e dal 1976 di Giudice Conciliatore di Ceccano fino al 1991. Alla fine degli anni ’60 è vice corrispondente da Ceccano del quotidiano IL MESSAGGERO.

Nel 1970/1971 collabora alle riviste IL BIVIO e L’ECO D’ITALIA dirette da Giuseppe Bonanni fino a che durano le pubblicazioni. Come avvocato civilista assiste in numerose vertenze il Comune di Ceccano e il consorzio ASI. Ma continua a collaborare con articoli e poesie a tutti i periodici pubblicati in Ceccano (ONDA NUOVA, IL PICCHIO, IL FABRATERNO, VERSO IL DUEMILA).

Dopo aver fondato nel 2001 L’INCLITO ROMPICLUB, associazione protagonista di numerose iniziative e battaglie tra le quali quella memorabile per impedire la creazione di una discarica di rifiuti nel territorio di Giuliano di Roma, nonché quella per accelerare l’apertura della superstrada per Terracina, pubblica e dirige due numeri unici di notevole successo: l’Ariete Strarompi e il Cipiglio Furente. Membro attivo di varie associazioni ceccanesi, come i Fabraterni e gli Amici della montagna. Nel 2001 ha pubblicato un volumetto di poesie dal titolo GODI CECCANO e ancor prima in ricordo della sua sposa la monografia AMORE E TIMORE SOPRATTUTTO AMORE. Le sue migliori poesie in romanesco attendono la pubblicazione pur essendo già in allestimento col titolo ARIECCHIME ROMA, con copertina da tempo preparata dall’arch. Maurizio Daponte (MADA) l’Inclito Club è noto a Ceccano, Roma e non solo, per le pubblicazioni curate da CLAM E MADA, in occasione della festa della Donna.

  1. Altri incarichi ricoperti nell’insegnamento: membro di commissione d’esame e presidente in Roma, Latina, Terracina, Sora, Frascati.

Presidente di seggio elettorale varie volte in Roma, Frosinone, Cassino e Sora. Negli anni ’90 viene eletto consigliere dell’Associazione ex alunni del liceo Virgilio, carica dalla quale poi si dimette, prevedendo che l’associazione si scioglierà, come in effetti avvenne. Ma ora sta ricostituendosi e già gli venne proposto qualche incarico in essa.

A chiusura di questo scritto esprime la speranza di essere ricordato come poeta (soprattutto per le poesie romanesche e le sue “Cronache umoristiche in versi”) e in Ceccano per quanto da lui profuso per la creazione dell’Istituto tecnico Commerciale e l’espansione di questa scuola e dotarla di un edificio proprio.

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Federica Angeli, la verità è di tutti

Federica Angeli non è una finzione. E’ vera come lo sono i veri giornalisti d’inchiesta. E’ vera quando, ospite della rassegna estiva promossa dall’amministrazione comunale di Veroli e dalla libreria Ubik, intervistata da Igor Traboni, spiega per filo e per segno un’esistenza privata del bene più prezioso: la libertà, cui è stata costretta a rinunciare insieme al marito e ai suoi tre figli per aver raccontato il sistema mafioso che da anni  si espande in tutto il litorale romano. Sulle colonne de La Repubblica si è fatta la professionista; nella vita, dopo essere stata sequestrata e minacciata all’interno di un bar di Ostia dal capo del clan Spada, è nata la donna. Nel suo libro A mano disarmata spiega entrambe, la giornalista che non si è fermata nemmeno quando le minacce hanno coinvolto direttamente i familiari, e l’altra Federica, quella delle paure e dell’incredibile coraggio. Anche di fronte al muro di diffamazione cui è stata sottoposta per il suo lavoro, perché si sa, la nostra è l’età del discredito: per colpire un professionista è sufficiente attaccarne la credibilità. Nel libro di Federica Angeli c’è tanto, di emozionale e di vissuto, ma c’è anche tanto, tantissimo di verità con riscontri offerti dai documenti. Una verità che parte da Ostia e che da Ostia si allarga a macchia d’olio, sfiorandoci tutti. Chiamandoci ad un’assunzione di responsabilità. Anche sul nostro territorio.

Come? Nel libro di Federica Angeli la risposta è racchiusa nella citazione omaggio al giudice Paolo Borsellino ucciso il 19 luglio 1992.

citazione borsellino