Non solo il monumento ai Caduti di tutte le guerre in piazza 25 Luglio evoca con la sua solennità la memoria del passato, Ceccano può riscoprire la propria identità civile attraverso quattro opere pubbliche di scultura realizzate fra il 1996 e il 2005: monumenti che parlano di lavoro, pendolarismo, lotte operaie e storia militare. La ricerca “I Monumenti Parlano” ricompone, per la prima volta in modo unitario, origini, autori, materiali e significati di queste opere, proponendo un programma concreto di valorizzazione: targhe esplicative, illuminazione, un itinerario urbano accessibile, attività didattiche e una piattaforma digitale aperta alla comunità.
Perché questa ricerca
Tra il 1996 e il 2005, sotto la guida del Sindaco Maurizio Cerroni e, successivamente, di Antonio Ciotoli, l’Amministrazione comunale affidò a scultori di diversa provenienza — da voci locali ad artisti affermati a livello internazionale — il compito di incidere nello spazio pubblico temi universali che hanno segnato la memoria collettiva. Oggi molte di quelle opere scorrono anonime sullo sfondo urbano, in alcuni casi di fronte ad arterie stradali a traffico veicolare intenso: pochi ne conoscono genesi e significati. Restituire loro contesto e visibilità significa restituire alla città un racconto corale, condiviso e didatticamente fertile.
I quattro monumenti in breve
Stele ai Caduti del Lavoro di Michele Thomas (1996, marmo di Ausonia): sicurezza e vite spezzate. Omaggia i 56 ceccanesi morti sul lavoro e richiama prevenzione e responsabilità collettiva. Collocata nell’aiuola di Piazzale Bachelet.
Mezzo Busto del Bersaglieredi Luigi Micheli (1999, bronzo): memoria militare e spazio civico. Trasforma un’area di passaggio in luogo identitario, tra storia nazionale e orgoglio locale. Posto nel giardino attrezzato situato all’incrocio tra via della Costituzione e via Madonna del Carmine.
Monumento a Luigi Mastrogiacomodi Antonio Greci (2001, peperino): lotte operaie e sindacali. Ricorda la tragica morte dell’operaio il 28 maggio 1962 presso la fabbrica “Annunziata”: forma sobria e rigorosa come monito civile.
Statua del Pendolaredi Reza Olia (2005, bronzo): pendolarismo e riscatto sociale. Figura in cammino che sublima la fatica quotidiana dei lavoratori diretti a Roma nel dopoguerra. Posizionata nel giardino antistante la stazione ferroviaria di Ceccano.
Proposta
Targhe in metallo formato A4 con dati essenziali (titolo, autore, anno, materiale, committenza) e un testo di 80–100 parole; QR code verso schede digitali con foto, biografie, documenti e testimonianze.
Illuminazione radente a luce calda, pulizia dell’intorno, recupero o installazione di piccole sedute; percorsi pedonali accessibili con eventuali tappeti tattili.
Itinerario urbano “I Monumenti che Parlano” (20–30 minuti a piedi), mappa e segnaletica unitaria, visite guidate, podcast e audio-racconti.
Didattica e comunità: laboratori con le scuole, archivio di memorie orali (ex pendolari, operai, familiari delle vittime), giornata cittadina dedicata al lavoro e alla sicurezza; valorizzazione dell’anniversario della morte di Luigi Mastrogiacomo.
Piattaforma digitale civica sul sito istituzionale con open data (autore, anno, materiali, coordinate GPS), galleria fotografica, calendario visite e contatti.
Risultati attesi
Maggiore fruizione culturale dello spazio pubblico.
Coinvolgimento delle scuole nei percorsi di educazione civica e storica.
Costituzione di un archivio di memorie orali legate al lavoro, al pendolarismo e alle lotte sociali.
Accessibilità potenziata (percorsi senza barriere e tappeti tattili dove necessari).
Trasparenza e riuso dei dati (schede open data scaricabili dal sito comunale).
Conclusioni
Le quattro opere costituiscono un unico racconto civico: non semplici arredi, ma pagine scolpite della memoria collettiva. La loro valorizzazione non si esaurisce in un atto celebrativo; è un investimento educativo, turistico e sociale che rimette i cittadini — soprattutto i più giovani — al centro della storia della città.
Chiediamo alla comunità — famiglie, scuole, associazioni, imprese — di adottare questi luoghi, contribuendo alla manutenzione diffusa e alla raccolta di testimonianze. Ai media locali chiediamo di accompagnare il percorso, dando voce a storie e persone. Un patrimonio riconosciuto, illuminato e raccontato diventa un patto di cittadinanza.
Questa ricerca restituisce unità e voce a opere che appartengono a tutti. È un invito a conoscere, rispettare e tramandare.
Origini storiche, ritrovamenti archeologici e proposte di valorizzazione museografica
di Luigi Compagnoni, Architetto
Questa ricerca nasce per riportare al centro dell’attenzione pubblica uno dei siti archeologici più significativi – e più dimenticati – della Valle Latina: la villa romana in località Le Cocce, a Ceccano. Scoperta alla fine dell’Ottocento e riemersa con chiarezza durante i lavori dell’Alta Velocità Roma –Napoli (1996–1998), la villa è oggi interrata e non fruibile, nonostante l’eccezionalità dei dati raccolti sul campo. L’indagine propone un quadro aggiornato e multidisciplinare che tiene insieme storia, topografia e tecniche edilizie con proposte di valorizzazione e fruizione culturale dell’area archeologica. Sono stati sviluppati e approfonditi tre ambiti principali di ricerca:
verifica critica delle fonti, dalle cronache di fine Ottocento all’ampia documentazione scientifica a seguito degli scavi TAV;
contestualizzazione storico-topografica entro l’ager di Fabrateria Vetus (Ceccano), lungo gli assi della via Latina e della Valle del Sacco;
proposta operativa per la tutela e la fruizione, con soluzioni museali e strumenti digitali innovativi ed immersivi per l’utente (HBIM/VR/AR).
Perché è importante
La tradizione locale attribuisce il complesso all’imperatore Antonino Pio:
Busto di Antonino Pio esposta al British Museum di Londra
un dato da maneggiare con prudenza a cui non è stato possibile dare certezza storica, ma coerente con la qualità delle strutture e con il ruolo del territorio in età imperiale. Gli scavi del periodo 1996–1998 a seguito delle indagini archeologiche resisi necessarie per la realizzazione del viadotto della ferrovia ad alta velocità, hanno restituito la planimetria estesa di una residenza extraurbana di grande pregio – almeno 7.500 m² messi in luce – con giardino porticato, ambienti di rappresentanza e un unicum nel panorama locale: due distinti complessi termali, serviti da sistemi di riscaldamento dell’acqua con ambienti destinati a ipocausto, vasche e praefurnia. Tra i pavimenti spicca un mosaico bicromo a tema marino (amorini su mostri marini), tipologia iconografica che conferma la destinazione d’uso degli ambienti.
Foto aerea della villa Romana riemersa dopo gli scavi effettuati nel 1996-1998
L’approvvigionamento idrico era garantito dalla sorgente del Morrecine e da un acquedotto ipogeo (tramite condutture interrate); le murature documentano fasi diverse di costruzione (opus latericium e listatum, tecniche edilizie romane), indizio di un’evoluzione lunga tra età repubblicana e tardo imperiale. L’ipotesi di una trasformazione in mansio (stazione di posta) lungo la via Latina nel III secolo spiega l’ampliamento dei servizi termali e la monumentalità degli accessi.
Che cosa non funziona oggi
Dopo gli scavi, l’area è stata ricoperta per motivi conservativi e non è fruibile; i reperti sono in deposito e il museo comunale previsto a Castel Sindici non è mai entrato in funzione. La mancanza di segnaletica, perimetrazione e un progetto unitario di valorizzazione ha consegnato il sito all’oblio, pur in presenza di un interesse scientifico solido e di materiali d’archivio di prim’ordine.
Che cosa propone la ricerca
Parco archeologico a fruizione controllata: riesposizione selettiva (aree chiave come il peristilio e mosaici), percorsi protetti, pannellistica bilingue e dispositivi per l’accessibilità universale.
Museo civico: allestimento modulare a Castel Sindici per i reperti della villa della Cardegna e del comprensorio, con sezioni didattiche e percorsi tattili.
Ricostruzione digitale: modello HBIM e ricostruzioni VR/AR per “rendere visibile l’invisibile” sia in loco sia online, sovrapponendo la ricostruzione virtuale alle strutture oggi interrate.
Rete territoriale: integrazione con il paesaggio culturale e storico del territorio (centro storico, parchi e percorsi naturalistici, Castello dei Conti ecc..), eventi tematici e programmi educativi con scuole, associazioni e università.
Castel SindiciCantine di Castel Sindici
Conclusioni: innovazione e sostenibilità
Il valore aggiunto non è solo nella sintesi dei dati storici e archeologici analizzati, ma nella messa a sistema di strumenti e attori: tutela archeologica, pianificazione urbanistica, mediazione culturale, innovazione digitale. La ricerca traduce la “grande villa nascosta” in un progetto concreto e sostenibile, in linea con le migliori pratiche italiane su siti analoghi, per trasformare un’eredità interrata in un volano di identità e sviluppo locale. La Villa della Cardegna è un bene di rango, ampiamente documentato e tecnicamente interpretabile, che attende solo di essere restituito alla collettività con metodi contemporanei. Questo lavoro offre il percorso: basi storiche verificate, lettura architettonica e un piano operativo che unisce parco, museo e digitale, chiamando istituzioni e cittadinanza a una responsabilità condivisa.
La Villa Romana della Cardegna a Ceccano emerge, alla luce di questa ricerca, come un sito di eccezionale rilievo storico-archeologico purtroppo non adeguatamente valorizzato.
Tuttavia, questa ricerca delinea una serie di azioni concrete e strategie che – se attuate – potrebbero invertire la rotta. La valorizzazione della Villa della Cardegna può e deve passare come detto in precedenza per un approccio multidisciplinare: urbanistico, pianificando il territorio in funzione della tutela dei siti presenti sul territorio comunale; tecnologico, sfruttando la realtà virtuale e gli strumenti digitali per rendere fruibile l’invisibile; sociale, coinvolgendo cittadini e associazioni in una gestione partecipata; economico-culturale, integrando l’offerta archeologica in un sistema turistico locale più ampio.
Il caso di Ceccano potrebbe diventare un modello virtuoso di recupero di identità territoriale: un comune industrializzato della Valle del Sacco che oggi attraversa un profondo ed inarrestabile declino economico che riscopre nel suo sottosuolo agrario le tracce di un passato glorioso e le utilizza per costruire un futuro sostenibile, a misura di comunità e aperto al mondo.
Nota: la ricerca è dedicata alla memoria degli archeologi Desideria Viola e Mauro Bombelli, prematuramente scomparsi, che attivamente lavorarono al sito e ai quali devo molte delle informazioni storiche e soprattutto idee e proposte per la musealizzazione dei reperti a Castel Sindici.
Fonti e Bibliografia:
Michelangelo Sindici, Ceccano, l’antica Fabrateria – Studi storici con documenti inediti, Roma, Tip. A. Befani, 1893, pp. 55-62.
U.S.A.A.F. (United States Army Air Force), foto aeree scattate durante la II Guerra mondiale sul territorio di Ceccano nel gennaio 1944.
Angelo Compagnoni, “Diventare un uomo” ,1982-Editrice Monteverde, pag. 32.
Giovanna Rita Bellini, Francesca Sposito, Pavimenti inediti dalla villa romana in località Cardegna (Ceccano, FR),in Atti del XVI Colloquio AISCOM (Associazione Italiana per lo Studio del Mosaico), 2011, pp. 571-582 .
Giovanna Rita Bellini, Simon Luca Trigona, Le terme della villa di Cardegna (Ceccano, FR), in Atti del Convegno “Sorgenti e Terme nella Valle del Sacco”, Soprintendenza Archeologica del Lazio, 2011 (abstract in scheda TESS online) pp. 304-313.
Piero Alviti (a cura di), Ceccano e il patrimonio archeologico abbandonato, articolo sul blog Pietroalviti.com, 29/07/2013 –Ceccano ,la pianta della villa romana di Cardegna,18/10/2016 –Ceccano, chi controlla i 30 mila reperti archeologici di Palazzo Antonelli,13 /07/2025.
Ricostruzione 3 D della villa romana della Cardegna
Un cimitero non è solo un’infrastruttura: è un archivio a cielo aperto della città, un luogo dove storia, urbanistica, arte e memoria collettiva si intrecciano. La ricerca che presentiamo ricostruisce, con rigore documentale e visione progettuale, la vicenda del vecchio cimitero di Ceccano dalle origini ottocentesche fino alla stagione degli ampliamenti degli anni Trenta del novecento, proponendo al tempo stesso un percorso di tutela e di valorizzazione concreta.
Perché questa ricerca
Negli ultimi decenni i cimiteri storici italiani sono tornati al centro dell’attenzione come beni culturali: spazi identitari da conoscere, proteggere e rendere fruibili. Il lavoro si colloca in questa prospettiva e si rivolge a cittadini, amministratori, scuole e studiosi con un duplice obiettivo:
ricostruire la storia insediativa e architettonica del cimitero, evidenziando scelte, idee e protagonisti;
tradurre la conoscenza in azione, con proposte operative per restituire dignità, leggibilità e funzioni pubbliche a un luogo che appartiene a tutti.
L’arco della storia (1868–1937)
La ricerca individua sei fasi storiche ben distinte, concentrandosi sulle prime quattro (1868–1937) e tralasciando, almeno per il momento, gli interventi di ampliamento moderni in parte ancora in corso.
1868–1899 – Nascita del cimitero extraurbano: un impianto a terrazze su quattro ripiani, muri di cinta e poderosi sostegni sul fronte a valle; il sito delle “Croci del Calvario” lega da subito l’area a un immaginario devozionale.
1902–1910 – Il piano lungimirante di Annibale Sprega: fognature per le acque meteoriche, consolidamento dei muri, ossario, nuovo ingresso monumentale, alloggio del custode. Un progetto organico (e anticipatore) che resta sulla carta per difficoltà amministrative e finanziarie.
1922–1924 – La “messa in sicurezza” di Francesco Amedeo Gonzales: ricostruzione dei tratti pericolanti dei muri di sostegno e migliorie interne (scale, muretti), interventi risolutivi per salvaguardare il nucleo antico.
1934–1937 – L’ampliamento razionale di Marino Marini: il viale d’accesso diventa asse scenografico e ordinatore, affiancato da un doppio filare di alberi; una scalinata monumentale conduce a un’esedra; l’insieme è organizzato in insulae inserite in una maglia di viali interni che si intersecano ortogonalmente. In questa stagione matura anche l’attuale volto del portale, con un possibile apporto di Giovanni Jacobucci (bozzetti e sensibilità scultorea), a testimonianza di un dialogo progettuale che arricchisce la fisionomia del complesso.
Un museo a cielo aperto
Epigrafi, simboli, cappelle ed edicole raccontano costumi, linguaggi e stili di più generazioni. Tra le sepolture compaiono figure che collegano Ceccano a vicende nazionali, accrescendo il valore civico del luogo. Il cimitero emerge così come bene pubblico da leggere e da insegnare: un “manuale” di storia locale che merita percorsi interpretativi, didattica e cura.
Tutela: dal riconoscimento alla gestione
La parte storica del cimitero possiede i requisiti per la verifica dell’interesse culturale (VIC) e l’eventuale vincolo da parte della Soprintendenza. L’avvio dell’iter – corredato da documentazione storica e fotografica – costituirebbe un primo, decisivo passo: tutela preventiva, qualità dei progetti, coerenza negli interventi. La protezione giuridica, tuttavia, è un punto di partenza: occorrono una strategia di gestione, risorse e partenariati (Comune, enti, scuole, associazioni).
Tre proposte immediate e sostenibili
La ricerca non si ferma alla diagnosi: traduce la storia in azioni concrete, a impatto visivo e civico.
Riqualificare il viale d’accesso Rimozione dell’asfalto e pavimentazione in pietra locale; doppio filare di essenze a crescita controllata; illuminazione con lampioni con un design sobrio che si integrino all’ambiente circostante; segnaletica discreta (anche con QR o altre tecnologie che integrano la realtà aumentata) per un “itinerario delle memorie”. Un intervento leggero che restituisce solennità e leggibilità all’asse principale, coerente con la visione di Sprega e Marini.
Connettere il cimitero al Parco naturalistico adiacente Uno‑due varchi pedonali tra il cimitero storico e il parco naturalistico realizzato nel passato dall’amministrazione comunale con fondi europei attraverso il recupero delle ex cave di via Morolense, rigenererebbero entrambi gli spazi: il cimitero si aprirebbe a un percorso di contemplazione nella natura; il parco tornerebbe vivo come “parco della memoria”, con potenziale didattico e sociale.
Restaurare l’emiciclo monumentale come Sacrario dei Caduti Restauro conservativo di scalinata ed esedra anni Trenta; apparati memoriali con i nomi dei caduti; accessibilità e illuminazione per cerimonie civili. L’emiciclo ritroverebbe la sua funzione simbolica e diventerebbe tappa culminante dei percorsi di visita.
Un progetto per la città
Questa ricerca propone un patto tra memoria e futuro: conoscere per tutelare, tutelare per rendere fruibile. Il vecchio cimitero può diventare Cimitero Monumentale Comunale: un luogo curato, leggibile, frequentato con rispetto; una risorsa culturale per scuole e famiglie; una scena dignitosa per le ricorrenze civili; un tassello qualificante delle politiche urbane.
Invito alla lettura (e all’azione)
Nel testo completo il lettore troverà cronologie, analisi dei progetti che è stato possibile visionare e consultare nell’archivio storico comunale, profili dei progettisti e indicazioni operative. È un invito a guardare oltre il cancello: a riconoscere nel cimitero un bene comune che ci racconta e ci unisce. Trasformare questa consapevolezza in scelte amministrative, progettuali ed educative è oggi un atto di responsabilità verso chi ci ha preceduti e verso le generazioni che verranno.
Felice Di Mario, ex custode del cimitero comunale;
Maurizio Lozzi, Pasqualino Colagiacomo e GianMarco De Angelis, Archivio Storico Comunale di Ceccano;
Giulia Aversa, elaborazione grafica per le proposte di valorizzazione;
Andrea Ciotoli, consulenza tecnica perle proposte di valorizzazione;
Francesco Maura per le riprese fotografiche.
Fonti d’archivio e bibliografia
Stefano Levati-Fuori le Mura, la genesi dei cimiteri extraurbani nell’Italia napoleonica (1806-1814). Ed. Viella ,2024
Archivio Storico del Comune di Ceccano (ASCC), Fondo Lavori Pubblici – Cimitero comunale. Lettera di incarico ad Annibale Sprega, 11 marzo 1903; Relazione tecnica di A. Sprega, 27 agosto 1904; Relazione tecnica di A. Sprega, 18 ottobre 1909; Relazione s.d. (ascrivibile al 1910) con pianta e prospetto del nuovo ingresso; Nota commissariale sulla somma urgenza, 13 settembre 1923; Elaborati progettuali e tavole di F. A. Gonzales, 1923‑1924; Verbale di collaudo del Regio Genio Civile di Frosinone sui lavori di consolidamento, 23 febbraio 1924; Progetti di ampliamento e sistemazione del cimitero, Ing. Marino Marini (tavole e planimetrie generali), 1934‑1937; Disegno a matita di ossario con timbro “Studio Arch. Giovanni Jacobucci” (s.d., ca 1937); Planimetria catastale, 1939.
U.S.A.A.F. (United States Army Air Force), foto aeree scattate durante la II Guerra mondiale sul territorio di Ceccano nel gennaio 1944.
Carlo Cristofanilli-Dizionario enciclopedico Ceccanese-Edito A.C. Ceccano 1992. Voci “Campusantu” e “Calvario”.
Sprega Annibale – attività a Roma nei primi del ’900 (per inquadramento biografico e professionale): cfr. E. C. Falqui, Modernizzare la capitale. Roma per parti, 1907‑1916, in Roma moderna e contemporanea.
Jacobucci, Giovanni (1895–1970) di GiannandreaJacobucci. Roma: Edizioni Kappa, 1996.
Territori, periodico dell’ordine degli Architetti della provincia di Frosinone settembre-dicembre 2009 anno XVI n° 21, dedicato alla figura dell’Arch. Giovanni Jacobucci.
D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio. In particolare: art. 10 (beni culturali) e art. 12 (verifica dell’interesse culturale).
Pietroalviti.com – «Il cimitero racconta» a cura dell’Architetto Vincenzo Angeletti
Oggi termina la straordinaria avventura di un uomo che, con la sua storia, ha rappresentato la testimonianza vivente di una triste pagina per la memoria della nostra città. Tommaso Pizzuti, classe 1918, è scomparso nella notte, ultimo sopravvissuto di una delle pagine più dolorose e tragiche del secolo scorso, la prigionia dei militari italiani nei lager nazisti.
Abbiamo raccontato la sua straordinaria storia con un’intervista già pubblicata nel maggio del 2024 (qui il link: https://www.facebook.com/groups/resistenzaimi/posts/10161462810279208/),e soprattutto con la partecipazione alla Giornata della Memoria del 27 gennaio scorso, quando, alla presenza del Prefetto della provincia di Frosinone e del Commissario Straordinario del Comune di Ceccano, gli fu conferita la Medaglia d’Onore prevista dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per i cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti per essere destinati a svolgere lavoro coatto per l’economia di guerra tedesca.
Dopo l’armistizio del 1943, Tommaso era tra le centinaia di migliaia di connazionali disarmati dai tedeschi e posti di fronte a una tremenda scelta: continuare la guerra coi nazifascisti o essere deportati. Gran parte di loro, tra cui Tommaso, non aderì alla Repubblica di Salò e fu reclusa con lo status di “Internati militari italiani”, voluto da Hitler per sottrarli alla Convenzione di Ginevra e sfruttarli liberamente per i lavori forzati. Il rifiuto a aderire alla Repubblica di Salò viene ormai riconosciuto da tutti gli storici come atto fondante della Resistenza italiana al nazi-fascismo. I militari ceccanesi prigionieri nei lager nazisti, dislocati in Germania, Austria, Polonia e Cecoslovacchia, furono complessivamente 236, di questi, sette erano civili, compresa una donna, Antonietta Gallucci. Dei 236 I.M.I., soltanto uno di essi accettò le offerte di rimpatrio per chi avesse aderito ai proclami della nuova Repubblica fascista, mentre il rifiuto costerà la vita a 11 ceccanesi, morti dietro i reticolati dei lager nazisti.
Una pagina della Seconda Guerra Mondiale a lungo trascurata ma tornata a vivere anche a Ceccano grazie a toccanti testimonianze dirette dei reduci come lui, imprigionato a venticinque anni e tornato a casa in drammatiche condizioni psicofisiche.
Il debito della nostra città non si estinguerà facilmente ed è un riconoscimento alla dignità e al sacrificio di chi ha sofferto per riscattarci dall’oppressione dittatoriale. Ringraziamo Tommaso per avercelo ricordato con il suo spirito di ribellione.
La partecipazione dei ceccanesi alla Resistenza non si sviluppò soltanto in Ciociaria, ma ne registrò la presenza attiva in altri contesti territoriali in Italia e all’estero: Albania, Isole Ionie della Grecia e nei lager per internati militari dislocati in Germania, Polonia, Austria e Cecoslovacchia. Oggi, ad 80 anni dalla fine della guerra, è stato possibile finalmente ricostruire un quadro esatto degli uomini e delle donne di Ceccano che scelsero di combattere e contrastare l’oppressore non solo nel proprio territorio, ma anche nel resto d’Italia e nei paesi europei che soggiacevano alla brutale dittatura nazista, grazie ad una capillare azione di ricerca, con il fondamentale supporto degli archivi storici resi accessibili on-line al pubblico.
Sul movimento partigiano che si sviluppò a Ceccano e sui Monti Lepini, soprattutto sul versante carpinetano, molto si è scritto, anche se con ritardo, se si pensa che la prima celebrazione del 25 aprile avvenne a Ceccano “solo” nel 1969, cioè 25 anni dopo la fine della guerra, con l’irrimediabile perdita di tante testimonianze dirette dei protagonisti di quelle vicende, che soltanto grazie alle ricostruzioni storiche dei ricercatori locali ha impedito di perderne totalmente le tracce nella memoria locale. Il primo libro che descrive in maniera documentata le vicende belliche e quindi anche il movimento partigiano che riguardarono Ceccano, curato dal Prof. Angelino Loffredi, è del 1990!
Ancora più complessa si è rilevata la ricostruzione storica della partecipazione dei Ceccanesi con ruoli attivi e di fondamentale importanza nella Resistenza romana, di cui soltanto da pochissimi anni si sta rivalutando il ruolo svolto.
Tornando ai presupposti che hanno consentito di ricostruire storie e vicende dei Partigiani e Patrioti ceccanesi che si schierarono contro gli oppressori dopo l’8 settembre del 1943, nei primi anni del dopoguerra con decreto ministeriale furono istituite delle commissioni regionali per il riconoscimento della qualifica di partigiano o di patriota di chi aveva partecipato alla Resistenza. Per Ceccano furono catalogate ben 126 schede, come è stato possibile verificare nell’Archivio di Stato, portale “Ricompart”, con i dati dei richiedenti, e su questa abbiamo avuto già un primo riscontro sull’effettiva consistenza numerica della partecipazione dei ceccanesi alla guerra di Liberazione in Ciociaria.
A Ceccano erano presenti due raggruppamenti partigiani, uno guidato dall’Avv. Giuseppe Ambrosi, l’altro da Romolo Battista, uomini dalla forte personalità in perenne contrasto per l’egemonia del movimento partigiano locale. Contrasto che proseguì anche nel dopoguerra, che non era riconducibile all’appartenenza politica ma dettata da contrasti personali. L’Avvocato Ambrosi fu l’estensore della relazione inviata subito dopo la fine del conflitto al Ministero della Guerra, così suddivisa con i relativi nominativi:
– elenco degli informatori e collaboratori
– elenco dei patrioti meritevoli di premi in denaro, ricompense e sovvenzioni
-aggiunta all’elenco nominativo dei patrioti meritevoli di premio in denaro, sovvenzioni e ricompense
-aggiunta all’elenco dei patrioti collaboratori
-elenco nominativo dei patrioti morti ed elenco nominativo dei patrioti feriti e mutilati
Parliamo di un totale di 187 ceccanesi attivi durante la Resistenza, secondo gli elenchi di Ambrosi. Gli elenchi però non menzionano i ceccanesi attivi nella Resistenza a Roma e nel resto d’Italia, né tantomeno i soldati internati nei lager nazisti o resistenti a Cefalonia o in Albania.
Basandosi invece sull’analisi delle schede del portale “Ricompart” i numeri sono diversi: i partigiani ceccanesi ai quali viene riconosciuta la qualifica di Partigiano combattente sono effettivamente 22, di cui 2 caduti, cui vanno aggiunti 8 Partigiani non originari di Ceccano che aderiscono alle formazioni locali e 13 Patrioti, numeri ben lontani dagli elenchi inseriti nella relazione dell’Avv. Ambrosi. Al di là del ridimensionamento della consistenza numerica operante a Ceccano, il valore dei ceccanesi nella Resistenza, dall’analisi delle schede, emerge ancora più forte e di valore. Basti pensare ad esempio che a Roma sono presenti in attività partigiane 16 ceccanesi appartenenti però tutti a partiti politici: cinque risultano iscritti al Partito Comunista, tre al Partito Socialista, due al Partito d’Azione, al Fronte Militare Clandestino e a Bandiera Rossa ed infine in due formazioni operanti nel resto della regione, 1 a Poggio Mirteto e 1 partigiano nella brigata Ceprano. La resistenza a Roma dei ceccanesi trova i suoi due martiri nelle figure di Luigi Mastrogiacomo e Francesco Bruni, massacrati dai tedeschi in due distinte azioni di rappresaglia.
Luigi Mastrogiacomo, dopo l’armistizio dell’8 settembre, diventa un membro attivo nella resistenza romana collaborando con il nucleo di intelligence guidato dal tenente Maurizio Giglio (Medaglia d’Oro al valore militare) denominato servizio informazioni “Radio Vittoria”. La trasmittente è custodita da Luigi sul galleggiante del Ministero delle Finanze ormeggiato sul Tevere ed è utilizzata dal tenente Giglio per inviare notizie di carattere militare al comando alleato bloccato sul fronte di Anzio e Nettuno.
Francesco Bruni, appartenente al Partito d’Azione, figlio di Regina, anch’essa attiva nella resistenza come il resto della famiglia, tutti originari di Ceccano, viene barbaramente ucciso dalle S.S. in un agguato in via Nomentana, e la sua camicia traforata dai proiettili è esposta come tragica testimonianza nel Museo della Liberazione a Roma, nello stesso edificio in via Tasso, teatro delle sevizie e torture alle quali erano sottoposti gli uomini della Resistenza romana che cadevano nelle mani degli aguzzini fascisti.
Poco nota è anche la presenza dei ceccanesi nella guerra di liberazione in Piemonte. All’indomani dell’8 settembre tanti soldati cercarono con tutti i mezzi di tornare a casa, ma una parte consistente di essi preferì combattere l’invasore unendosi alle brigate partigiane operanti nelle Langhe e nelle valli piemontesi, in una guerra senza esclusione di colpi così come raccontata da Beppe Fenoglio in uno dei suoi libri più famosi “Il partigiano Johnny”. Orlando Nicolia (classe 1921) e Angelo Ferrante (1920) nella Brigata Grinet, dove Angelo raggiunse il grado di commissario distrettuale, Gino Colafrancesco (1924), nome di battaglia ‘Berto’, nella Brigata Garibaldi, Augusto D’Annibale (1921), nome di battaglia ‘Tigre’, arruolato nella brigata Sap Carando, Vincenzo Cicciarelli (1921) nella 104^ Brigata Verde ed infine con la qualifica di patriota, Giovanni Cerroni (1916), nella 3^ Divisione Alpi.
Mentre del tutto ignorata, fino ad oggi, la partecipazione del soldato ceccanese Giulio Pirri (classe 1911) nell’insurrezione della popolazione di Lanciano, in Abruzzo, che a partire dal 6 ottobre del 1943 scatenò contro i tedeschi nel tentativo di cacciarli dalla città. Fece seguito una durissima rappresaglia contro la popolazione. Il bilancio dell’insurrezione fu di 47 vittime tra ufficiali e militari di truppa tedeschi e 11 partigiani e 12 civili uccisi. La rivolta fu guidata dal partigiano Trentino La Barba, che cadde in combattimento e per il suo sacrificio fu decorato di medaglia d’oro al valor militare, mentre Pirri rimase ferito nel corso della battaglia guadagnandosi sul campo la qualifica di partigiano combattente.
Nei paesi europei ancora sotto il dominio delle truppe naziste, sono venute alla luce vicende di resistenza che soltanto l’accesso alla documentazione oggi consultabile nel portale “Ricompart” ha consentito di conoscere: Domenico Del Brocco (classe 1919), superstite dell’eccidio della divisione Acqui di stanza sull’isola di Cefalonia, in Grecia, che dopo l’armistizio non si arrese ai tedeschi e resistette per circa due settimane fino a capitolare e dare luogo al massacro di oltre 5.000 soldati Italiani. I superstiti, compreso Del Brocco, furono trasferiti nei lager in Germania da dove fu liberato dalle truppe russe nel febbraio del 1945, per trovare la morte nel successivo mese di novembre per fatti di guerra non meglio specificati nel suo foglio matricolare. Oggi di Domenico Del Brocco non c’è traccia sulle lapidi dei caduti del monumento cittadino, ma la sua partecipazione attiva nella resistenza ai tedeschi a Cefalonia gli fu riconosciuta da parte della commissione istituita già nel 1947 che lo qualificò come partigiano combattente.
In Albania, le truppe italiane lì presenti alla data dell’armistizio non vollero arrendersi all’esercito tedesco, e si costituì con 170 soldati volontari il battaglione “Antonio Gramsci”, che si unì all’esercito di liberazione del Paese. In questo reparto, guidato da un leggendario fornaio toscano, Terzilio Cardinali, Medaglia d’Oro al valor militare, si aggregò il ceccanese Felice Bucciarelli (1911), che combatté a fianco dei suoi commilitoni contro i nazisti ed ebbe l’onore, assieme alla sua brigata, di sfilare per primi nella Tirana liberata come segno di riconoscenza dell’intero popolo albanese.
Infine, per avere un quadro completo della resistenza italiana nel 1943-1945, va senz’altro citata la vicenda degli I.M.I. (Internati Militari Italiani), di cui abbiamo già scritto in passato soprattutto a proposito del significato storico del rifiuto della maggioranza di loro a aderire alla Repubblica di Salò come atto fondante, ormai riconosciuto da tutti gli storici, della resistenza italiana al nazi-fascismo. I militari ceccanesi prigionieri nei lager nazisti, dislocati in Germania,Austria, Polonia e Cecoslovacchia, furono complessivamente 236, di questi,sette erano civili, compresa una donna, Antonietta Gallucci, che fu prelevata dalla fabbrica di munizioni di Bosco Faito, accusata di azioni di sabotaggio e internata in un lager a Berlino. Dei 236 I.M.I., soltanto un militare aderì alle offerte di rimpatrio per chi avesse aderito ai proclami della nuova Repubblica fascista, mentre il rifiuto costerà la vita a 11 ceccanesi, morti dietro i reticolati dei lager nazisti.
Spero che la completa ricostruzione storica della partecipazione dei ceccanesi alla Resistenza aiuti finalmente a conciliare, anche nella nostra città, quello spirito di ribellione alla base del riscatto dall’oppressione dittatoriale che contribuì alla liberazione e, soprattutto, alla nascita della democrazia e della libertà nel nostro Paese.
La straordinaria vicenda che vide sul finire dell’Ottocento, famosi pittori italiani interessarsi a ritrarre nei loro quadri scene di vita in costume della Ceccano dell’epoca, angoli caratteristici del paese o i paesaggi della circostante campagna, offre continuamente nuovi spunti di studio e approfondimento.
La figura artistica principale attorno al quale ruota l’interesse di altri pittori a spingersi oltre Roma e alla sua campagna per dipingere scorci di un paese della Ciociaria è rappresentata da Aurelio Tiratelli che a Ceccano strinse un forte legame con la comunità come testimoniato dalle tante opere che qui realizzò.
Tiratelli esordì come scultore ma ben presto passò alla pittura riscuotendo sempre maggiore successo oltre che dal pubblico anche dalla critica e strinse forti rapporti con tanti pittori suoi contemporanei come Pio Joris, una delle figure più importanti nel panorama della pittura romana dell’Ottocento, in particolare nell’ambito dell’esperienza della pittura di paesaggio. Di Joris, cognato del Tiratelli avendone sposato la sorella Sofia, è noto al pubblico l’acquerello dal titolo “Scorcio di Ceccano” che ritrae un angolo dell’attuale Largo Tommasini. Tra gli altri pittori che soggiornarono a Ceccano occorre ricordare Stefano Donadoni appartenente alla corrente del Vedutismo, genere pittorico che si occupava di paesaggi o di città riprese dal vero, che rappresentò con splendidi acquerelli la campagna nei pressi di Ceccano oggi di difficile localizzazione. Infine, Scipione Simoni uno dei fondatori dell’associazione degli acquerellisti romani, autore di magnifici acquerelli realizzati nel 1893 che raffigurano scorci ancora oggi perfettamente identificabili in via S. Antonio, nel cuore della parte più antica di Ceccano.
Ma Tiratelli ebbe anche tanti allievi e tra i più noti ed apprezzati va senz’altro annoverato la figura di Lorenzo Cecconi (1863-1947) egli entra a far parte giovanissimo dei “XXV della campagna romana”, un gruppo formato da 25 artisti accomunati dal gusto di ritrarre dal vero la natura. Tale compagine fu sciolta nel 1934 dal fascismo. Nell’ottobre 1883 Cecconi è presente a Ceccano e realizza 4 disegni tutti a matita che pubblichiamo in anteprima dopo averli acquisiti da una casa d’arte di Milano, di cui 2 rappresentano angoli del centro storico e due con soggetti di natura floreale. Soprattutto le due vedute del centro storico sono state particolarmente interessanti per la ricerca e riscoperta dei luoghi dove il pittore eseguì questi mirabili disegni “imprigionandone” la bellezza e autenticità che ancora -a tanti anni di distanza- ci affascinano.
Ebbene il luogo è ubicato sulla parte finale del percorso carrabile dell’attuale via Porta Abbasso prima di proseguire su via del Montano Vecchio (sulle vecchie mappe catastali è riportata come via Quattro Cantoni) radicalmente cambiata sia per le pesanti distruzioni dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale e sia per le esigenze dello sviluppo moderno in particolare per la realizzazione di slarghi necessari per il passaggio e parcheggio di autovetture.
Dal confronto tra la situazione dell’epoca e quella di oggi si è rilevato che la sagomatura della scalinata è la stessa anche se i gradoni sono stati ricoperti di asfalto rispetto all’originaria pavimentazione in ciottoli di pietra mentre intorno sono scomparsi gli edifici che coronavano il piccolo slargo rappresentato dalla matita del Cecconi, particolarmente emozionante è stato individuare alcune pietre sul muro soprastante che sono rimaste identiche a quelle ritratte nel 1883! Altra annotazione interessante è la sagoma del piccolo campanile sullo sfondo forse potrebbe identificare l’ubicazione della chiesetta di S. Antonio di cui oggi è completamente scomparsa ogni traccia a seguito dei rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei decenni e delle nuove costruzioni.
Per il secondo disegno a matita di un angolo del centro storico, realizzato sempre nell’ottobre del 1883, è stato impossibile localizzarne il luogo anche se sicuramente ubicato nelle adiacenze , ma nel contempo è interessante la rappresentazione grafica di un elemento tipico dell’architettura civile del Medioevo ,oggi quasi del tutto scomparso nel centro storico, il profferlo, che consentiva tramite una scala esterna di raggiungere i piani sopraelevati mentre al di sotto con un apertura di solito ad arco si accedeva al piano terra destinato a bottega , a cantina o più raramente a stalla.
In definitiva è attraverso la visione e la lettura di questi straordinari disegni che rappresentano una testimonianza di grande valore culturale per l’interesse che il paesaggio ed in particolare il centro storico offrivano agli artisti, che si rilevano ancora oggi aspetti di una comunità raccolta attorno al suo cuore antico, funzioni e significati che nello sviluppo moderno sono stati persi completamente.
Sarà possibile nel futuro , al di là delle ricerche storiche e culturali attuali , pensare o ipotizzare di poter riutilizzare i fabbricati abbandonati o le piazzette della parte antica di Ceccano ad uso abitativo, recuperare le piccole botteghe o laboratori artigianali con destinazioni per attività culturali o sociali per dare nuova vita al centro storico recuperandone l’antica bellezza come emergeva dai pennelli o dalle matite di Tiratelli, Joris, Donadoni, Simoni ed infine da Lorenzo Cecconi?
Nota: i disegni a matita di Lorenzo Cecconi realizzati nell’ottobre del 1883 sono di proprietà dell’Arch. Luigi Compagnoni, se ne autorizza la riproduzione o divulgazione previa citazione della provenienza.
Il ripiegamento dei reparti dell’esercito tedesco, dopo lo sfondamento della linea Gustav con la conquista di Montecassino il 18 maggio 1944 da parte dei soldati polacchi, avviene progressivamente con successive linee difensive di arretramento con lo scopo principale di rallentare, il più possibile, l’avanzata delle armate alleate e consentire al resto delle truppe germaniche di poter raggiungere Roma e successivamente il nord Italia.
Nel territorio compreso tra Cassino e Frosinone (distanti in linea d’aria poco più di 40 km.) i tedeschi formeranno ben 5 linee difensive ed appunto sull’ultima, costruita attorno al centro abitato di Ceccano, le armate alleate troveranno uno degli ostacoli maggiori prima di poter compiere l’ultimo balzo verso la conquista di Roma.
I tedeschi, già presenti nella cittadina fabraterna all’indomani dell’armistizio, vi insediano nei mesi successivi reparti logistici di supporto e rifornimento alla battaglia Cassino – che durò circa 4 mesi – e, sfruttando l’orografia del territorio strutturano una linea difensiva con un andamento semicircolare, posizionando i capisaldi sulle maggiori alture che circondano il centro abitato in grado pertanto di mettere sotto controllo sia le strade provenienti dal versante Sud (Cassino e i monti Ausoni), ma anche il versante Ovest che guarda il passo della Palombara, nodo strategico di collegamento tra la valle dell’Amaseno e la valle del Sacco.
Le forze alleate, superando di volta in volta le successive linee difensive approntate dai tedeschi in ripiegamento, arrivano sul territorio ceccanese all’indomani della battaglia di Campo Lupino, la quota più alta di Monte Siserno, la montagna che funge da spartiacque tra i paesi di Castro dei Volsci, Villa S. Stefano, Giuliano di Roma e Ceccano.
I soldati della 4^ Divisione di Montagna marocchina procedono sulla cresta del Siserno con l’obiettivo di conquistare Giuliano di Roma e, successivamente, l’importante passo della Palombara mentre altri reparti del CEF (2^ Divisione e i Cacciatori d’Africa della 1^ Divisione) a cui si sono aggiunti reparti militari americani si dirigono su Ceccano su due direttrici, la prima proveniente da Colle del Vescovo, Bosco S. Ermete e via Gaeta, e l’altra dalle contrade di Maiura e Badia. Questi reparti appartengono alla V^ Armata alleata – comandati dal generale Mark Clarke – e il settore a loro assegnato è sulla riva destra del fiume Sacco, mentre sul versante opposto operano i reparti dell’VIII^ Armata al comando del generale Oliver Leese, costituita principalmente da soldati Canadesi.
Per capire la complessità dell’attacco abbiamo riportato graficamente sulle foto aeree, scattate dall’aviazione americana nel gennaio del 1944, l’ubicazione dei capisaldi della linea difensiva tedesca e le direttrici di attacco dei reparti alleati. Tutte le descrizioni dei feroci combattimenti avvenuti nel territorio di Ceccano nei tre giorni di fine maggio fanno riferimento, oltre alle ricerche storiche citate in bibliografia, ai diari di guerra di due ufficiali il primo del Capitano Malavoy dell’VIII° Reggimento dei cacciatori d’Africa del CEF dal titolo “Du Niger au Danube” e il secondo, anch’esso importante, per poter ricostruire le varie fasi della battaglia, dal Colonnello Goutard dal titolo “Dans la campagne d’Italie”.
Oggi, grazie a inedite riprese filmate rese disponibili dal servizio di produzione e archivio fotografico e audiovisivo del Ministero delle forze armate Francesi, è possibile sviluppare nuove riflessioni e considerazioni sulle manovre di attacco che consentirono ai soldati del CEF alla fine di superare la linea difensiva predisposta dai tedeschi anche se a costo di numerosi caduti.
Il filmato, ad opera del cineoperatore Raymond Mèjat dal titolo “La campagna d’Italia: avanzata francese verso Roma”, mostra il cannoneggiamento sul versante sud del centro urbano di Ceccano, anche se le didascalie lo indicano semplicemente come “village” ma sono perfettamente identificabili nell’abitato: il castello, il serbatoio sulla sommità di via Santo Stefano ed in basso a sinistra del filmato un edificio di notevole mole che abbiamo individuato nel palazzo Marella ubicato all’inizio dell’attuale via Giacomo Matteotti. La posizione del cineoperatore francese è localizzabile nella zona situata sul crinale di colle Ciarletti (via Due Cone nella toponomastica comunale odierna), sicuramente era affiancato da ufficiali osservatori che permettevano di inviare le coordinate di tiro agli artiglieri posizionati sulle retrovie, le colonne di fumo dei colpi di artiglieria che si alzano nell’abitato individuano le zone colpite in corrispondenza della attuale Madonna della Pace e della Madonnella-Rifugio. Si tratta di un cannoneggiamento senza il supporto dell’aviazione è quindi un’azione militare per cercare di colpire le postazioni tedesche, al contrario dei numerosi bombardamenti alleati che nei mesi precedenti distrussero gran parte del centro storico, ma senza grandi risultati strategici.
Ancora più completa fu la difesa del versante Est per contenere l’avanzata dei reparti della VIII^ Armata alleata. I tedeschi fecero esplodere con le mine il ponte sul fiume Sacco e i circostanti edifici, in particolare lo storico palazzo Berardi, e resero impossibile il passaggio dei fucilieri e dei carri armati Canadesi su quel lato. La stessa strategia venne utilizzata dai tedeschi per bloccare l’accesso al centro urbano da via Gaeta attraverso la zona della Madonnella (oggi via del Rifugio) facendo crollare gli edifici su via Principe Umberto e Viale Littorio (oggi Viale della Libertà) che di fatto rese impossibile l’avanzata ai mezzi corazzati del CEF su quella direttrice, ostacolata anche dalla presenza di estesi campi minati che impegneranno i genieri francesi in complesse azioni di bonifica sotto il tiro nemico.
Resta pertanto solo l’attacco delle fanterie sul versante Sud e dopo la martellante azione dell’artiglieria come testimoniato dalle immagini del filmato, i soldati franco-marocchini sfondano la linea difensiva tedesca in due distinte battaglie, nella zona del colle del Boschetto con tre attacchi successivi e in prossimità di colle Sant’Arcangelo nel sottostante bosco dei Tocchi, le descrizioni degli scontri all’arma bianca sono particolarmente cruenti e nei resoconti delle battaglie non si menzionano prigionieri ma solo il numero dei caduti da ambedue gli schieramenti. La sera del 29 maggio il colonnello tedesco Wolf Ewert ordina il definitivo ripiegamento delle forze tedesche e la mattina del 30 i primi soldati del CEF potranno entrare nella città senza incontrare ulteriore resistenza.
La battaglia a difesa di Ceccano, ultima linea difensiva Tedesca prima del definitivo ripiegamento su Roma, impegnerà le due armate alleate in 3 giorni di durissimi scontri per la conquista dei capisaldi e del centro urbano. Il dato temporale è ancora più significativo per la durezza dei combattimenti degli eserciti in campo se si considera che per conquistare pochi chilometri furono necessari ben 3 giorni, mentre per arrivare definitivamente a Roma – distante 60 km. – ne basteranno solo 4!
Luigi Compagnoni
Riferimenti bibliografici:
Le vicende militari relative alla battaglia per la conquista del centro abitato di Ceccano sul finire del mese di maggio del 1944 da parte delle truppe alleate della V^ e VIII^ Armata e del corpo di spedizione francese in Italia (sigla abbreviata: CEF) sono state ampiamente raccontate e descritte nel passato da minuziose e articolate ricerche da parte degli storici e ricercatori locali, che cito in ordine cronologico:
Prof. Giovanni Ruspandini “Il mondo sembrava fermo” edito dall’Amministrazione Comunale di Ceccano , pubblicato nel 2006 ;
Prof. Gianluca Coluzzi “Ceccano e la guerra 1944-2014” con la collaborazione degli studenti del Liceo Scientifico di Ceccano, pubblicato nel 2014 avvalendosi anche di testimonianze dirette di persone che furono presenti ai tragici fatti che sconvolsero la popolazione locale;
Prof. Angelino Loffredi e Lucia Fabi “Il dolore della memoria: 1943-1944” pubblicato nel 2016;
Alla presente ricerca hanno collaborato :
Raniero Compagnoni per la ricerca documentale presso il centro di comunicazione e produzione audiovisiva della Difesa Francese – ECPAD;
Francesca Aversa per l’elaborazione grafica sulle foto aeree del 1944 della battaglia di Ceccano;
Nota: il filmato è stato acquistato dall’archivio ECPAD-Ministero della difesa Francese dall’Arch. Luigi Compagnoni, ne è consentita la divulgazione previa citazione delle fonti di provenienza;
Nel corso degli anni ha cambiato il nome, ma mai la sua identità! Dal campo sportivo “Dux”, a “Comunale”, fino all’intitolazione a “Dante Popolla”, tragicamente scomparso nell’affondamento, nel mare antistante Siracusa, del piroscafo “Conte Rosso”, che trasportava 2727 soldati sul fronte africano il 24 maggio 1941. Fatto sta che quel signore che padroneggia lungo le sponde del Sacco in questi giorni ha compiuto 90 anni! Inaugurato il 9 dicembre 1934 con la partita amichevole Lazio–Frosinone, terminata 6 a 3 per i biancocelesti, quella struttura ha accolto centinaia di tifosi ed è stato teatro di altrettante emozioni nel corso della sua lunga vita .
L’ articolo che racconta la partita inaugurale del campo sportivo ceccanese è consultabile nell’archivio “LazioWiki” e, scorrendo le formazioni, l’attenzione non poteva non andare al nome del più grande centravanti della storia del calcio italiano: Silvio Piola, campione del mondo nel 1934 e detentore di record ancora oggi ineguagliati se non in parte: maggior numero di reti (274) in Serie A; record di marcature in una singola partita (6) uguagliato solo da Omar Sivori; calciatore più anziano a vestire la maglia della nazionale prima di Dino Zoff (a quasi 39 anni in Italia–Inghilterra nel 1952). Quel giorno a Ceccano Piola realizzò una doppietta di cui uno su rigore ed è bello ricordare che il nostro campo fu tenuto a battesimo da uno dei calciatori più iconici della storia del pallone. Nella formazione della Lazio spiccava, tra gli altri, un nome particolarmente importante del calcio moderno: Gipo Viani, che ai più giovani dirà poco ma che viene annoverato tra gli innovatori ante-litteram della tattica, commissario tecnico della nazionale e di quella olimpica nel 1960, gli viene riconosciuta l’introduzione del ruolo del “Libero”, che fino ad allora non veniva contemplata nelle formazioni e chissà se proprio in quel giorno maturò la sua idea di arretrare un calciatore dietro i difensori!
Inoltre, nell’articolo è curioso rilevare come i rapporti non proprio amichevoli tra i tifosi ceccanesi con la squadra del Frosinone già esisteva fin dagli albori della storia calcistica provinciale, scrive infatti il giornalista “ … neppure il fattore campo è stato propizio ai giocatori giallo-azzurri, perché gli sportivi ceccanesi hanno tifato grandemente per la Lazio, permettendo così a questa di non rinunciare anche al gioco duro …”
Tornando al giorno inaugurale, l’unica foto da cui possiamo farci un idea di come si presentava quel giorno il campo è riportato sul libro dello storico Tommaso Bartoli, pubblicata sul suo libro “Cacio e calcio rosso-blu” nel 1996, la gradinata nord che ospita oggi i mitici ultras del Ceccano non era ancora stata realizzata e nel posto dei vecchi spogliatoi è presente una tettoia di una colonia solare intitolata a F. Avallone, e della tribuna centrale si scorge una pretenziosa colonna sormontata da un capitello ma, come racconta sempre Bartoli all’indomani della guerra le tegole e le colonne delle strutture furono trafugate per essere utilizzate come materiali edili nella ricostruzione di qualche casa.
Nell’immediato dopoguerra inizia un periodo d’oro per la squadra ceccanese, sotto la guida dell’industriale Annunziata, e il campo torna ai suoi splendori con la costruzione di spogliatoi al posto della colonia solare e addirittura una tribuna in legno in corrispondenza del lato fiume e il campo ospita amichevoli di lusso contro squadre di serie A e la squadra campione di Norvegia. A tal proposito è suggestiva – per l’immensa passione che animava i tifosi – la foto scattata durante l’amichevole con la Salernitana con gli spalti gremiti a tal punto che non erano riusciti contenere tutti e per tale motivo tanti si erano assiepati sulla collina del Pischitu Matarazzu – allora sgombro di abitazioni – e sui tralicci dell’alta tensione a testimonianza dello straordinaria partecipazione di pubblico.
Nel corso degli anni il campo ha visto altre imprese sportive ed ha visto esibirsi altri campioni, ha subito altre trasformazioni e ristrutturazioni con la realizzazione di moderni spogliatoi, impianti di illuminazione, posa di un manto erboso fino al recente nuovo manto di nuova generazione, ma da sempre ha costituito un punto fermo nel cuore dei tifosi e soprattutto ha alimentato i sogni di tanti ragazzi, e chissà che prima e poi, nei prossimi anni, qualche giovane promessa proverà ad emulare Augusto Ive che, dal campo in terra battuta del Dante Popolla giocando nel torneo delle contrade nel 1962, riuscì ad esordire in serie A nel 1966 vestendo la maglia della Spal, ad oggi unico ceccanese ad aver giocato nella massima serie.
Ancora una volta buon compleanno al nostro stadio!
Il 9 maggio scorso ha festeggiato il suo 106° compleanno, infatti è nato a Ceccano nel 1918, e attorniato dall’affetto dei suoi figli e dai numerosi nipoti è stato celebrato anche dall’Amministrazione comunale, con la consegna da parte del Sindaco di una targa ricordo. Parliamo di Tommaso Pizzuti, ancora in grado, nonostante qualche acciacco, di raccontarci la sua straordinaria vita che dura da oltre un secolo!
Le molteplici vicende familiari e lavorative che hanno contrassegnato la sua vita hanno, a nostro avviso, anche un risvolto storico eccezionale di rilevanza nazionale, infatti riteniamo che Tommaso sia tra gli ultimi, se non l’ultimo, sopravvissuti degli oltre 650.000 militari Italiani catturati dai tedeschi e internati nei lager nazisti dopo l’8 settembre del 1943.
L’incontro nella sua casa è stato particolarmente emozionante e rappresenta la degna conclusione delle ricerche che in questi anni abbiamo condotto nella ricostruzione di una pagina storica per troppo tempo sottaciuta anche nella nostra città, le drammatiche vicissitudini dei militari che durante la seconda guerra mondiale, dopo l’armistizio, preferirono la dura prigionia nazista piuttosto che aderire alla Repubblica di Salò e che coinvolse 237 ceccanesi, come abbiamo raccontato in tante iniziative pubbliche, e 13 di essi perirono dietro i reticolati dei campi di concentramento.
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Tommaso Pizzuti, come tanti giovani di Ceccano, allo scoppio della Seconda guerra mondiale fu richiamato sotto le armi e arruolato in un prestigioso reparto dell’Esercito Italiano di stanza a Catania, il 24° reggimento di Artiglieria della Divisione “Piemonte”, e già il nome del reparto illumina il suo viso:” Noi avevamo i cavalli e non ci spostavamo a piedi!”. All’inizio delle ostilità belliche la divisione viene inviata in Albania e dopo alterne vicende i reparti rimasero dislocati nei territori di occupazione nel Peloponneso in Grecia, dove venne incaricata della difesa delle sue coste schierando le proprie unità a sbarramento del canale di Corinto e organizzando una serie di presidi intorno a Patrasso e nell’isola di Zante. La Divisione si sciolse definitivamente l’11 settembre, in conseguenza dei fatti che determinarono l’armistizio, e purtroppo per Tommaso, come per il suo compaesano Agostino Ciotoli, anch’egli arruolato nella stessa unità si aprì la drammatica prigionia in Germania che durerà fino al 1945.
Per comprendere meglio la vicende legate alla sua prigionia ci siamo basati sulla scheda dell’archivio LeBI (consultabile in rete sul sito Lessico Biografico IMI a cura dell’associazione nazionale reduci dalla prigionia in collaborazione con l’ambasciata della Germania a Roma). Tommaso risulta internato nello Stalag VI A (Campo di concentramento) ubicato nella città di Hemer, nella Ruhr, a pochi chilometri da Dortmund. Alla parola “Hemer” gli occhi di Tommaso hanno uno scatto e la ripete alcune volte:” ci portavano anche in altri posti distanti sempre a piedi per lavorare in fabbrica o in fattorie, e una volta che rientrammo al campo in ritardo fui obbligato per punizione a restare all’addiaccio con i piedi immersi nell’acqua per tutta la notte!”
Come sono state importanti, a proposito della storia dello Stalag V A le informazioni e le foto pubblicate sul sito “IMI-Internati Militari Italiani” consultabile su Facebook. In particolare c’è stata di aiuto la testimonianza di Evelyn Vigato, nipote di un internato Italiano, che il 15 ottobre del 2021 ha visitato i luoghi dove si svolse la prigionia di Tommaso e di tanti altri militari italiani”. Oggi nella cittadina tedesca dove era ubicato il campo rimane la piazza pavimentata dove i prigionieri venivano radunati e fatti marciare. Le due casette frontali, oggi centro di informazioni, una volta erano sezioni di controllo all’ingresso del campo, dove si arrivava direttamente con il treno. C’erano sbarre tra l’una e l’altra. A destra al posto di tende e baracche si trova una collina residenziale. Qui riposavano gli internati, che poi, di giorno, si recavano presso le miniere e le fabbriche della Ruhr. Alcuni nelle fattorie dei paesi limitrofi. Russi e poi Italiani, i “traditori”, a loro spettava la sorte più amara. Al campo però c’erano anche polacchi, marocchini, indonesiani etc. Per i francesi la prigionia era meno dura. Nelle foto esposte nel museo c’è anche la razione del giorno, 250 grammi di pane nero e una piccola scodella di zuppa di rape e bucce di patata. 12 ore di lavoro al giorno più le ore di cammino. Letti a castello di legno e tende per la notte, tutti stipati l’uno accanto all’altro. Alcuni arrivarono a bere olio per sete e per cercare di porre fine alla sofferenza. Tanta era la disperazione. Dal 4 aprile del 1945 le truppe americane iniziarono ad accerchiare il campo per poi liberarlo progressivamente”.
A proposito della fame, sempre presente tra i prigionieri costretti a lavori estenuanti e marce forzate, lo stesso Tommaso ci racconta di come, durante i tragitti, cercavano di sfamarsi raccogliendo barbabietole e verdure varie mangiandole crude, per cercare di placare i morsi della fame ed in particolare ricorda un episodio: durante uno dei tanti spostamenti, la colonna dei prigionieri incrociò la carcassa di un gatto morto che veniva scansato a calci da chi lo precedeva. Tommaso, superando il disgusto, lo raccolse e lo infilò nella sua bisaccia, e dopo averlo scuoiato e bollito ne trasse un piccolo ristoro a dispetto dei suoi compagni che lo avevano evitato per un naturale ribrezzo! Dell’esperienza militare in guerra, la mente di Tommaso non conserva soltanto episodi dolorosi della prigionia, ma anche piacevoli come l’incontro con una ragazza siciliana di cui si era invaghito prima dell’invio al fronte albanese, o l’orgoglio di montare a cavallo come artigliere o ancora del commilitone del suo stesso paese.
In conclusione del bellissimo incontro di cui siamo stati testimoni, resta la consapevolezza di una straordinaria storia che merita il massimo risalto, anche attraverso l’attivazione, da subito, anche con il supporto dell’Amministrazione comunale e della Prefettura di Frosinone, delle procedure burocratiche previste dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il conferimento della medaglia d’onore agli Internati militari italiani, sarebbe un evento eccezionale nella storia della nostra città poter far avere il riconoscimento a Tommaso come ultimo sopravvissuto di quella dolorosa e drammatica pagina di storia Italiana
Le straordinarie imprese della squadra del Frosinone, che pur rappresentando un piccolo capoluogo di provincia per ben tre volte negli ultimi 8 anni è riuscito ad approdare in serie A, ci ha spinti a curiosare negli archivi per ricercare i calciatori nativi della provincia frusinate che nel passato sono riusciti ad esordire nel massimo campionato di calcio Italiano. I numeri non sono eclatanti, soltanto 19 calciatori, nella loro carriera sportiva, possono fregiarsi di essere scesi in campo nella massima serie, anche se quattro di essi (Giannichedda, Palombo, Ogbonna e Zappacosta) hanno avuto anche l’onore di vestire la maglia della Nazionale maggiore. Caso a parte la storia di Delio Onnis, nato a Giuliano di Roma, piccolo borgo della Ciociaria, dove la famiglia si era trasferita dalla Sardegna, che diventò una stella di prima grandezza nel campionato francese senza mai giocare in Italia.
Le città che vantano il maggior numero di calciatori giunti in Serie A sono Sora, con ben quattro giocatori, e Pontecorvo con 2. Ceccano, la mia città, è presente con soltanto un giocatore, Augusto Ive, nato nella città fabraterna il 18 luglio 1944 ed esordiente in serie A con la maglia della Spal contro il Napoli il 6 settembre del 1965 allo stadio San Paolo.
Dopo svariati tentativi di contattarlo telefonicamente (Augusto vive a Santa Marinella e raramente torna a Ceccano), siamo riusciti finalmente ad incontrarlo grazie all’aiuto del cugino Antonio Mattone, e sono state due ore meravigliose di racconti, di aneddoti e personaggi sportivi che hanno fatto la storia del calcio italiano. Augusto ci ha travolti ed affascinati per la precisa ricostruzione della sua carriera, non solo dal punto di vista sportivo, ma soprattutto per i rapporti umani che il suo carattere estroso ed aperto riusciva ad intrattenere con compagni, allenatori, presidenti e tifosi, che ancora lo acclamano a distanza di tanti anni.
Il suo entusiasmo contagioso ci ha consentito di ricostruire le sue origini ceccanesi, i suoi primi calci nelle giovanili della Roma, fino all’esordio in serie A e B nel giro di pochi mesi nella stagione 1965-1966 con le maglie della Spal e della Reggina ed infine gli ultimi anni della sua carriera.
Il padre Silvio, nato in Austria, militare di carriera, dopo l’8 settembre del 1943 si trova di stanza a Ceccano, inquadrato nel rinato esercito italiano di supporto alle truppe alleate, soprattutto nelle azioni di contrasto agli sbandati e contro le efferatezze delle truppe marocchine contro la popolazione. Qui si innamora della ceccanese Laura Filippi, e nel luglio del ’44 nasce Augusto in località Celleta, dove la famiglia della madre si era rifugiata dopo il passaggio del fronte. All’età di tre anni la famiglia Ive si trasferisce a Roma, presso la caserma Cecchignola, dove Augusto vive la sua infanzia rincorrendo come tutti i ragazzini dell’epoca una palla di stracci fino al giorno “fatidico”, quando sui muri quel quartiere San Giovanni viene affisso un manifesto della Roma Calcio, che organizzava presso il campo della Romulea un provino per i ragazzi. Augusto e i sui amici accorrono ma trovano centinaia di ragazzi e qui i primi aneddoti del racconto di Augusto: non ha le scarpe idonee, quindi gli prestano un paio di scarpini ma di due numeri più grandi. Nonostante questo i suoi guizzi, il tiro bruciante e una tecnica innata nel trattare la palla non sfuggono agli osservatori tra la moltitudine dei ragazzi in prova ma, secondo inconveniente. Nel registrare il suo nome, un osservatore sbaglia il cognome e viene iscritto nella lista con il cognome Verzega. Per cinque mesi è impossibile rintracciarlo, fino a quando la perseveranza di un osservatore che era rimasto impressionato dal ragazzino lo rintraccia e finalmente Ive entra nel settore giovanile della Roma.
Nelle giovanili giallorosse diventa titolare e partecipa al torneo di Viareggio assieme ad altri giovani di belle speranze: Ginulfi, Carpenetti, De Sisti. Entra di fatto nel giro della prima squadra, in particolare per la stima dell’allenatore Masetti, che lo etichetta come un “nuovo Guaita” anche se al giovanissimo Augusto questo appellativo dice poco, non conoscendo i trascorsi del grande attaccante argentino nella Roma degli anni trenta fino ad arrivare a conquistare il titolo mondiale con l’Italia nel 1934!
Nel 1962, appena diciottenne, ecco il ritorno a Ceccano sotto forma di amichevole della Roma Primavera contro la squadra locale, tornata in 1^ categoria dopo i fasti dell’Ex Annunziata Calcio degli anni cinquanta. L’emozione di quel giorno con la maglia della Roma nella città dove ancora aveva tanti amici e parenti traspare ancora oggi ma il legame è così forte con le sue radici che in quella torrida estate del ’62, Augusto non riesce a dire di no allo zio Leandro Mattone (vecchia gloria del calcio ceccanese) che lo invita a partecipare con la squadra della “Piazza” al Torneo Rionale, particolarmente sentito nella Ceccano calcistica dell’epoca. La “Piazza”, grazie ai suoi gol, vince il torneo ma Augusto, martoriato dai terzini delle squadre avversarie, avverte i primi problemi al menisco della gamba sinistra, che lo costringerà poco tempo dopo ad operarsi.
Questo gli costa parecchi mesi di stop e i dirigenti della Roma, cui aveva nascosto l’infortunio patito in un torneo amatoriale, decidono di mandarlo in prestito in serie C ad Avellino, dove si comporta bene soprattutto in coppia con Lucio Mujesan, vecchio compagno nelle giovanili della Roma. Le buone prestazioni gli valgono l’attenzione addirittura di Paolo Mazza, presidentissimo della Spal e già ex selezionatore della nazionale italiana nell’infausta spedizione nei mondiali del 1962 in Cile.
Approdato nella squadra estense, allora militante in serie A, Augusto si trova in compagnia di giovani di grande avvenire come Fabio Capello ed Edy Reja, ma anche di maturi giocatori come l’argentino Oscar Massei e Osvaldo Bagnoli. Sarà proprio Massei a mettere il giovanissimo ceccanese sotto la sua ala protettrice e Augusto addirittura verrà convocato come titolare (all’epoca non erano consentite sostituzioni) per la prima partita del campionato contro il Napoli, appena tornato nella massima serie. Ed ecco l’esordio, davanti ad oltre 70.000 persone, del giovane ceccanese, che ben si comporta anche se l’allenatore Petagna non lo schiera nel suo ruolo naturale, ma bensì gli ordina di marcare Juliano, l’elemento più tecnico del Napoli. Lo schema dà ragione all’allenatore fino a portare la Spal in vantaggio, ma il brasiliano Canè, in giornata di vena (autore di una tripletta) supportato da Altafini e Sivori alla fine riusciranno a far prevalere il Napoli per 4 a 2. Subito dopo, ad Augusto si riacutizza il dolore alla gamba operata e preferisce così trovare più spazio nella Reggina in serie B, dove addirittura segna un bellissimo gol all’esordio contro il Monza (5 dicembre 1965).
Dopo aver superato le conseguenze di infortuni vari nella stagione precedente, anche se segnati dall’esordio in serie A e B, finalmente nella stagione 1966-1967 con il ritorno ad Avellino, una delle pretendenti alla vittoria finale del girone meridionale della serie C, trova la sua stagione migliore realizzando ben 15 gol, anche se Augusto rivendica altri 3 gol classificati come autoreti ma per leggere deviazioni dei difensori che ancora oggi lo fanno indispettire!
A proposito di questa bellissima stagione negli Irpini, da ricordare in particolare la partita contro il Frosinone al Matusa, nella quale Augusto regala ai tanti ceccanesi presenti sugli spalti per ammirarlo, una prestazione eccezionale seppur marcato da un vero e proprio mastino, Pietro Del Sette, realizza infatti il gol vittoria dell’Avellino, oltre a prendere un palo e vedersi annullata un’altra rete.
Dopo questa bellissima stagione ricca di gol, torna finalmente a Roma che dopo anni di anonima spera di tornare allo scudetto affidandosi al famoso allenatore Helenio Herrera. Augusto partecipa alla preparazione precampionato con altri giovani e finalmente esordisce con la maglia giallorossa, seppur in amichevole al Flaminio, contro la Ternana l’11 settembre 1968, la partita finirà 3 a 3 e Ive pur comportandosi bene non avrà altre occasioni di giocare con la Roma.
Dopo la breve parentesi nella Roma inizia a girovagare per importanti piazze calcistiche, ma di serie C (Casertana, Potenza e Siena) e in serie D (L’Aquila, Angolana ed infine Lanciano). Ognuna di queste esperienze è contraddistinta da tanti ricordi e amicizie incancellabili, ad esempio a Siena, prima dell’incontro clou con l’Ascoli che valeva il campionato, l’estroso Ezio Vendrame, che giocherà poi con il Vicenza e il Napoli, con la sua chitarra e le sue storie terrà compagnia ad Augusto e i suoi compagni fino alle quattro di mattina! I tanti scherzi con il mitico portiere Alberto Recchia, secondo Augusto uno dei migliori portieri da lui conosciuto, quando i portieri volavano da palo a palo e uscivano come kamikaze! O ancora l’amicizia fraterna con Alfio Riti, nata ad Avellino e durata una vita… a Lanciano resta memorabile una sua cinquina durante la partita contro il Monopoli, impresa realizzata da pochissimi giocatori in Italia.
Nei tabellini da me trovati in rete la carriera di Ive termina nella stagione 1972-1973, appunto con la maglia del Lanciano per un totale di 9 stagioni tra i professionisti con 223 presenze e 43 reti realizzate. Il vulcanico Augusto mi ha poi raccontato la seconda giovinezza, sempre dettata dal suo amore sconfinato per il pallone, dopo essere stato assunto nella squadra aziendale della Maia Cat, dove successivamente lavorerà per circa 30 anni, continuerà a giocare e a segnare nei campionati dilettantistici laziali (Albano, Pomezia, Ceccano, Romana Gas e ultime stagioni con il Gerano e il Capena) fino alle soglie dei quarant’anni non disdegnando anche la partecipazione ai tornei amatoriali. Augusto ha anche frequentato il corso di Coverciano, ma di fatto non ha mai svolto l’attività di allenatore, restando un appassionato di tutti gli sport, anche della scherma, dove una delle figlie eccelleva, segue sempre la Roma e forse – aggiungiamo noi – un attaccante con il suo scatto e tiro bruciante ancora oggi sarebbe servito!